domenica 13 marzo 2016

Una giornata tra i dinosauri

Ormai la figlia ha deciso. Da grande vuole fare la paleontologa.
Sa tutto sui dinosauri, in che periodo vivevano gli uni o gli altri, quali erano gli erbivori, quali i carnivori.
Libri, film, giocattoli, dinosauri su dinosauri.
Guardiamo insieme Jurassic World e riconosce i velociraptor e protesta perché non erano del giurassico ma del tardo cretaceo e non potevano vivere insieme al brachiosauro, che invece era del giurassico.

Deciso, a 18 anni andrà a scavare ossa di dinosauro. Si è già preparata con tutto l'occorrente.


Allora, visto che vuoi fare sul serio, facciamo sul serio!
Sabato mattina, si parte. Dove, è una sorpresa. Quando arriviamo le diciamo che è un museo. Non volevamo crearle aspettative molto alte, il rischio di una delusione c'è. Soprattutto perché vedere un reperto vero, danneggiato dal tempo, incompleto, rispetto a una ricostruzione fantascientifica, per i bambini può essere deludente.

- Ma io al museo non voglio andarci, è noioso.
- E se questo è un museo particolare?

Museo di storia naturale dell'università di Pisa. A Calci. meno di 20 Km da Lucca. Decisamente a portata di mano.
Per tutto l'anno c'è la mostra "Terra dei giganti", con scheletri di dinosauri prestati anche da altri musei.
Uno spettacolo autentico.
Cominciamo con il mostrarvi il posto. La certosa di Calci, trasformata in museo. Immersa nel verde delle colline toscane.


Dentro, una parte della certosa è visitabile, con le sale espositive. In un'altra, molto ben conservata, siamo entrati per sbaglio, intercettati dopo un po' da qualcuno che ci ha ricondotti sulla retta via.
Il museo ha diverse esposizioni.
La tremendazza ha preso la mappa e ci ha guidati dove più le interessava, alla mostra dei dinosauri.
Mi è piaciuta, molto ben fatta. Vedere i soli scheletri nelle teche l'avrebbe forse delusa. Invece hanno realizzato molte riproduzioni da affiancare agli originali.
"Originali", beh, non tutti. Alcuni erano originali, in vetrina, altri erano calchi, esposti liberamente. Ma questo lei non lo sa.




Eccola qui davanti al primo scheletro esposto. Quando le ho detto "ti avrebbe mangiato in un boccone" lei cosa mi ha risposto?
"Guarda, papà, che questo era un erbivoro, vedi i denti?
Mi rassegno. Lei ne sa di più.
Ecco qui il carnotauro (carnivoro). Scheletro e riproduzione.



E poi tanto altro.
Artigli di feroci predatori


Fossili, scheletri completi e non.



Questo è il teschio di uno pterosauro, un passerottino dell'epoca che avrebbe potuto usarci come becchime.


Queste erano solo le esposizioni temporanee. Il museo ha una zona dedicata a tante specie attualmente viventi. Non che io sia favorevole alla discutibile pratica dell'imbalsamazione, che prevede di uccidere delle povere bestie per impagliarle e mostrarle in vetrina, ma va detto che per quanto riguarda tutti gli animali esposti, si tratta di un lavoro fatto cent'anni fa. Oggi non sarebbe più accettato, per fortuna.



 Ecco lo scheletro di una giraffa


Mentre qui papà e figlia insieme cercano di misurare con le braccia la lunghezza della testa di una balenottera.


C'è ancora molto altro. Vale davvero la pena visitare questo museo. La tremendazza è tornata a casa ancora incredula per il meraviglioso spettacolo.
Vi rimando al sito istituzionale per ogni informazione.
http://www.msn.unipi.it/

domenica 6 marzo 2016

Il consumo responsabile (e altri pensieri della settimana)

Pensieri di questi giorni (non ricercate coerenza e un filo conduttore nei miei pensieri, vi perdereste).
Nichi Vendola ricorre alla pratica conosciuta come "utero in affitto" per avere un figlio. 
Le opinioni sono contrastanti, molto spesso drastiche, e in molti sentono la necessità di pronunciarsi. 
Come succede spesso nel web, e forse anche nella vita reale, il dialogo vero tra chi la pensa diversamente non c'è. Ognuno esprime con forza il proprio modo di vedere e lo difende a spada tratta, indipendentemente dalla propria esperienza (è un tema che conosco da vicino? Sto facendo ipotesi? 
Anche persone molto aperte e disponibili all'accogliere le opinioni altrui sono molto determinate e sentono la necessità di ribadire le loro posizioni più volte nei giorni successivi.
Personalmente, per quanto riguarda le persone che conosco, questo atteggiamento lo capisco, anche se non lo condivido appieno. Il tema è delicato, scottante, il bene dei più piccoli sta sinceramente a cuore a molti. 
Non vale invece la pena di parlare più di tanto dei troll che vomitano stronzate ogni volta che mettono le mani sulla tastiera, tirando in ballo Dio (che quando se li troverà davanti gli farà un mazzo tanto), la natura (di cui però gliene frega davvero poco) o altro.
 
Pochi giorni dopo si parla della futura apertura di Starbucks in Italia. E qui i suddetti troll si scagliano contro il diavolo a stelle e strisce che si permette di poggiarsi sul suolo italico.
A me il primo pensiero che viene in mente è "fammelo appuntare fra le cose di cui non me ne frega un cazzo", come si suol dire. Non che abbia qualcosa in contrario, è che è difficile che io ci vada, a meno che non me ne aprano uno di fronte all'ufficio. 
Detto questo però, la cosa mi fa piacere. Un'azienda straniera che investe in Italia. Non ce ne sono tante, sono molte di più quelle italiane che delocalizzano. Gli investitori stranieri sono scoraggiati dalla tassazione eccessiva e dalla burocrazia inefficiente dell'Italia. 
No, ci devono sempre essere tanti rompiballe che si devono mettere contro. Temere che le grandi catene distruggano i piccoli imprenditori italiani. 
Ma davvero? 
Prima di tutto mi preme sottolineare che non ci vedo nessun motivo di difendere i piccoli imprenditori. A suo tempo ne avevo parlato, è raro che io vada in un piccolo negozio invece che in un ipermercato. 
Poi, credo che la concorrenza sia una cosa buona, e che il protezionismo faccia male. L'azienda deve offrire qualità, differenziarsi dai suoi vicini e non costringere il consumatore a comprare perché non c'è altro in giro. E non credo che un buon bar abbia molto da temere. Se il caffè e i dolci sono buoni, e siete gentili, chi v'ammazza? Non ho visto mai nessuno che cambia bar per pochi centesimi di differenza sul prezzo. Se bruciate il caffè, come un bar che conosco, i clienti si faranno due passi in più e andranno da un'altra parte. E il protezionismo non vi salverà.

Ma questo mi fa pensare che alla fine, sempre e comunque, c'è tanta, troppa gente, che vuole che al mondo non cambi mai nulla. E io di questa gente sono proprio stufo, perché io di cose ne vorrei veder cambiare tante.

Poi viene fuori un commento del tipo "il caffè che usano è coltivato sfruttando i bambini". Se questo è vero non lo so, ma il tema che ne viene fuori è importante. Consumare responsabilmente. 
Trovo che sia davvero difficile. Vorrei avere la certezza che ogni prodotto che compro arrivi a me nel modo più "pulito" possibile, con il massimo rispetto dei lavoratori e dell'ambiente, che sia sano e che il suo uso non sia nocivo per nessuno. 

Bella utopia. 

Al supermercato è obbligatorio indicare la provenienza della frutta e della verdura. E allora uno pensa "compro italiano", pensando di andare sul sicuro, contando sul fatto che rispetto a molti paesi del terzo mondo ci siano più garanzie. Macché, poi abbiamo le discariche sotto i campi. Non solo in Campania, ne sono state trovate anche qui in Toscana. 
Quando si può contare su persone fidate che hanno un campo e che possono rifornirci di olio e pomodori, tanto di guadagnato. Ma non è facile, e tante volte bisogna fidarsi di quello che si compra.

Usare pochi imballaggi, e riciclare al massimo. Almeno qui si va a colpo sicuro. Gli stessi peperoni me li danno sfusi o in vaschetta. Anche se la vaschetta si ricicla, non è lo stesso che non produrla, peperoni sfusi, grazie. 

E per tutti i prodotti industriali (alimentari e non)? Vorrei vedere ogni lavoratore rispettato come me, che garanzie ho? Anche qui l'idea che i prodotti italiani siano meno sporchi di sangue non c'è. Si fa tanta pubblicità al tessile "made in Italy". Prato è in Italia, ma la maggior parte delle aziende di italiano hanno ben poco. Capannoni industriali con cinesi che sfruttano altri cinesi e che lasciano che muoiano nell'incendio di capannoni che non hanno avuto mai alcuna misura di sicurezza, è successo.
E non che gli italiani siano meno sfruttatori. 

Anche sul web la situazione non è migliore. Sento sempre cantare le lodi di Amazon. Però leggo anche che sono tra i peggiori schiavisti. Ho evitato Amazon quasi sempre per questo motivo, ma anche lì non è facile. Quando quello che cerchi te lo offrono solo loro, o qualche piccolo concorrente che non conosci e non sai nemmeno se te lo spedirà, è difficile fidarsi. Un giorno, poi, parlando con qualcuno del fatto che io non compro da Amazon, ho avuto una risposta interessante:
"sì, sappiamo che sono degli sfruttatori perché i loro lavoratori possono parlare, tanti altri non possono nemmeno". 

Riflessione interessante. E adesso?

domenica 21 febbraio 2016

Work-life balance

Questo è uno di due post che volevo scrivere da tanto tempo. L'altro, probabilmente, non ci sarà.
E' da più di un mese che non scrivo una riga. E in questo mese l'unico grosso cambiamento c'è stato sul lavoro.
Sono stato ricollocato a Firenze, proprio nel posto dov'ero qualche mese fa, ma con un incarico diverso, molto, molto, molto e ancora molto migliore.
Il ritorno è stato molto piacevole. Sono arrivato alle spalle di un mio collega e gli ho fatto
- pensavi davvero di poterti liberare così facilmente di me?
- che ci fai qui?
- sono tornato
(mi dà un abbraccio) accoglienza stupenda.
In poco tempo ho ritrovato il mio monitor, la sedia con l'etichetta col mio nome ancora attaccato, ho preso posto nella stessa isola di scrivanie, a due posti di distanza da dov'ero a giugno. Molto bello, non ci speravo, non ci avrei creduto qualche mese fa, ne avevo fatto una malattia del fatto di dover andare via di là.
E l'incarico che ho avuto, così come il gruppo di lavoro in cui sono stato assegnato, sono l'occasione che ho cercato in questi anni di cominciare a imparare.
Dopo diversi incarichi "parcheggio" in cui ho perso molto tempo, ora finalmente si comincia a fare sul serio. Lavoro insieme a un mio collega e ad altre due persone che mi stanno insegnando molto. C'è tanto da fare in poco tempo. Questo lavoro durerà fino a luglio, la scadenza è stretta e i ritmi sono serrati.
E questo è il momento in cui voglio parlare di work-life balance.

Immagine presa dal web
E' un equilibrio difficile. E non dovrebbe esserlo. Non ce n'è un vero motivo.
Qualche mese fa ho scritto che, cercando lavoro in America, ho scartato a priori le aziende che impongono ai dipendenti orari fuori dal normale. E sono stato messo in guardia da molte persone che mi hanno detto che negli Stati Uniti le 40 ore lavorative non sono la regola, ma l'eccezione, che essendo un mercato del lavoro competitivo e senza tutela del lavoratore, si fa a gara a chi produce di più.  

Queste informazioni mi hanno messo un po' in difficoltà. Contrastano molto con quello che avevo trovato in rete. Cercando tutti i pareri dei vari lavoratori sulle loro aziende avevo scoperto che ci sono le ditte in cui l'orario lavorativo è 9-5 e non si chiede di più, e quelle in cui si spreme il dipendente come un limone. Dopo quel giorno ho continuato a cercare insistentemente conferme e smentite, ho cercato di capire se questa situazione vale anche per il settore privilegiato dell'informatica.
Perché ogni mio ragionamento parte dal fatto che l'informatica, rispetto ad altri settori lavorativi, è privilegiato. Su questo aspetto vorrei approfondire, ma non voglio divagare.

Mi importa chiarire bene il mio punto di vista su questo argomento. Ho ben chiaro che a tutte le persone che mi hanno dato consigli e indicazioni farebbe piacere se io trovassi un lavoro da 40 ore, che hanno fatto il massimo per aiutarmi e non hanno cercato mai di tagliarmi le gambe. Mi preme dirlo perché purtroppo leggo spesso che chi vive all'estero e cerca di mostrare a chi vuole andarci le difficoltà così come sono viene poi accusato di voler ostacolare invece di aiutare.

La mia ricerca, un risultato chiaro non me l'ha dato. Da un lato, persone amiche e disinteressate che mi dicono che lì lavorano tutti come matti, che vivono per lavorare, che adorano carriera e soldi come divinità. Dall'altro, dipendenti di aziende di informatica, perfetti sconosciuti, che, in alcune aziende parlano di "long hours", in altre di orari 9-5 e niente straordinari. Partendo da un punto di vista del genere non mi sembra sbagliato l'approccio di scartare a priori ciò che non mi conviene e cercare l'occasione buona. Quello che era sbagliato, mi è stato fatto notare, era contarci e pensare di farcela in poco tempo. Ho accettato questo suggerimento ed ho agito di conseguenza.

Quello che però mi ha sorpreso è stato che molti dicessero che nemmeno in Italia facevano "solo" 40 ore.
Diciamolo chiaramente. Adesso sono in una situazione relativamente privilegiata. Mi ci sono messo da solo, me la sono cercata e trovata perché ne ho avuto bisogno. A partire dal giorno della mia laurea sono stato contattato continuamente da diverse aziende, almeno una alla settimana, che volevano propormi un colloquio di lavoro. Pur considerando che molte di queste offerte sono probabilmente farlocche e, nel migliore dei casi, meno buone del lavoro che ho adesso, so che se dovessi avere assolutamente bisogno di un lavoro, a costo di scendere a tanti compromessi "cado in piedi". So bene che in altri settori la situazione è molto più difficile e che l'informatica sta attraendo molte persone che hanno studiato altro o che prima facevano un altro lavoro, ME COMPRESO.

La mia posizione è diametralmente opposta rispetto a quella di chi vive per lavorare. Non so se conosco delle persone che amano la carriera più di ogni altra cosa. Anche perché quando una persona non mi piace non approfondisco la conoscenza, e gli stakanovisti non mi piacciono.

Io non ho mai considerato il lavoro come il centro della mia vita. Al contrario, sono più che convinto che il progresso tecnologico serva a farci lavorare sempre meno. Se oggi lavoriamo 40 ore alla settimana per produrre 10000 paia di scarpe, domani ne basteranno 30. Avremo prodotto ugualmente quello che ci serve, verremo pagati sempre di più e potremo avere gli stessi beni, con più tempo libero.
Trovo che questo sia applicabile ad ogni livello, che non sia necessario ammazzarsi di lavoro per fare carriera. Capisco che c'è chi ama il suo lavoro più di se stesso, ma trovo queste scelte incompatibili con il formare una famiglia. Poi, ognuno faccia come crede, io non avrei mai sposato una donna manager.
Il mio mondo ideale è questo. Ed è una battaglia persa. Oggi quello che succede è che se si produce di più chi se ne avvantaggia è solo chi è al vertice dell'azienda. Il lavoratore "comune" non riceve né una riduzione di orario, né una paga migliore. La disparità tra ricchi e poveri aumenta invece di diminuire, e questo è un assurdo. E il fatto che si possa produrre di più con costi minori porta disoccupazione invece di una migliore qualità di vita. Questo sistema sta collassando.
Spesso la disparità viene spacciata per meritocrazia, ma, al contrario, un sistema meritocratico prevede sì delle differenze, ma non abissali. Non è meritocratica un'azienda in cui l'amministratore delegato ha uno stipendio centinaia, migliaia di volte superiore a quello di un operaio.

Come dicevo, non sono stato sempre in una posizione privilegiata, ma me la sono sempre cercata. Per anni ho vissuto e lavorato senza mettere la sveglia, ma non ho mai guadagnato il necessario per vivere. Poi, quando è stato necessario, ho fatto le valigie e sono andato a lavorare in un'azienda lager.
Lì si facevano 9 ore al giorno, per 5 giorni a settimana, e tutte le ore venivano pagate. Si poteva restare di più a lavorare e anche lì tutto era pagato. L'azienda era un lager per altri motivi. Meno delle 45 ore non era concesso.
Mi sono trovato anche nella situazione terribile di sentirmi "imprigionato", di non avere il coraggio di chiedere di poter andare via nemmeno in una situazione di emergenza. Per poi accorgermi, pochi mesi dopo, che mentre io ero così sottomesso, qualcun altro aveva il coraggio di fregarsene altamente, di dire "sto andando via per questo motivo" e andare, invece di dover chiedere per favore e sentirselo eventualmente negare.
E' lì, e nell'esperienza lavorativa attuale, che ho capito due cose.
Una è che il work-life balance è un bene che va difeso. L'altra è che per ottenere bisogna pretendere. Inutile sperare e puntare sulla meritocrazia, lavorare a testa bassa sperando di essere premiati. Chi ottiene veramente le cose, chi viene premiato è chi, appena alza un dito, lo fa pesare come se avesse mosso una montagna.
Quando ho cercato lavoro, in un'occasione mi hanno detto che, quando necessario, c'era da fare qualcosa in più, quando i progetti sono in scadenza e bisogna consegnare. Ho detto che fare dello straordinario quando si è in situazione di emergenza è normale, ma lo straordinario non deve diventare cosa di tutti i giorni.
Per quel lavoro non mi hanno preso, non so se per questo o per qualche altro motivo.

Poco dopo io ho trovato lavoro dove sono ora ed ho formato diversi colleghi. Cosa abbastanza singolare, questi geni hanno scartato me e preso una ventina di miei alunni, senza saperlo.
Qualcuno di questi colleghi mi ha detto che lavora fino a tardi perché si pone l'obiettivo di finire quello che fa, senza che questo gli venga pagato. Uno di loro, che dirige gli altri, mi ha raccontato che appena un nuovo arrivato ha fatto per andarsene, dopo aver lavorato normalmente le sue 8 ore, gli ha detto "ah, mezza giornata oggi?". E il ragazzo, giovane e sottomesso "ma... devo fare di più?" e si è rimesso al lavoro. Ho sempre pensato che, se ci avesse provato con me, non ci sarebbe riuscito, io sarei andato via dicendogli "a' bello, il mio l'ho fatto, ciao ciao".

Dove lavoro ora, per due anni non ho ottenuto di poter entrare e uscire 10 minuti prima dal lavoro per poter prendere l'autobus. Il mio collega appena arrivato non l'ha mai chiesto. L'ha fatto e basta, senza chiedere nulla. L'ho fatto anche io, nessuno ha detto niente. Cazzo, finché l'ho chiesto è stato un no, poi quando l'ho fatto senza chiedere non ho trovato ostacoli? Quanto sono stato scemo a non capirlo prima qual era il modo giusto di fare!
Altro esempio, sempre nel mio lavoro attuale. Un mio collega è stato sovraccaricato e, per portare a termine il lavoro si è sobbarcato ore di straordinari gratis ogni giorno, a casa, senza chiedere nulla e senza farlo pesare. Quando è andato in ferie l'ho sostituito per una settimana. Sapevo di questa cosa e il primo giorno, da subito, ho fatto scoppiare la situazione. Il cliente si è lamentato e ho detto ai capi che non avrei potuto portare a termine il lavoro nel tempo richiesto. Mi hanno chiesto di completarlo a casa, offrendosi di pagare lo straordinario.

Ed eccoci al lavoro di oggi.
Normalmente sono fuori casa per lavoro 12 ore al giorno perché oltre alle 8 ore di lavoro e all'ora di pausa pranzo ce ne sono 3 di andata / ritorno casa-ufficio. Non me ne lamento, l'ho scelto io e finché studiavo quel tempo mi faceva comodo. Ma voglio dire che non è che io non sappia cosa significa fare giornate di lavoro lunghe. E' qualcosa che ho considerato, nel caso di un eventuale espatrio.
Prossimamente sarà necessario lavorare di più. C'è una scadenza da rispettare, molto importante, e l'azienda cliente è disposta a stanziare i soldi che servono per questo scopo. Il che vuol dire che probabilmente gli straordinari verranno pagati (finché non lo vedo non ci credo). Qualcuno aveva ben pensato di farmi venire a lavorare sabato dicendomelo venerdì. Mi sono opposto ("scusate, ma sabato ho già preso un impegno, devo andare a comprare un dinosauro").
In questa occasione a me sta bene ammazzarmi di lavoro per qualche mese, anche se sarà molto faticoso. Per alcuni motivi:
- se lo faccio, me lo pagano. Non è affatto scontato, anzi è raro, e a me qualche soldino in più serve.
- si tratta solo di qualche mese. Conoscendo l'ambiente so bene che non è la normalità lì dentro.
- questo è un lavoro in cui c'è molto da imparare. Non mi era mai capitato finora, in più di 4 anni ed è un'occasione che mi interessa cogliere fino in fondo.

Certo, avendo capito l'andazzo so che invece di mostrarmi disponibile e contento dovrò far pesare la cosa, altrimenti rischierò che mi si chieda sempre di più. Purtroppo, in queste piccole aziende dove non c'è un sindacato all'interno a difendere gli interessi del lavoratore, tocca sbrigarsela da soli. La differenza con le ditte come quella cliente, che hanno all'interno un sindacato, è abissale. Pretese notevolmente inferiori, paghe migliori, contratto integrativo con vari bonus. Qualcuna di queste cose me la sono conquistata lottando tanto finora. E una di queste è proprio il work-life balance.

martedì 12 gennaio 2016

Matrimonio civile in Messico

"Estàn seguros de que se quieren casar?"
Don Ramòn ce lo chiese più volte. Chissà cosa pensava, perché non sembrava così convinto.
Non lo sapremo mai. In ospedale gli comunicammo la data delle nozze. Il giorno dopo non era più con noi, non ci sarebbe stato ad accompagnare la figlia all'altare.
Mi piacerebbe potergli dire di nuovo di sì, che ora che sono passati 12 anni (domani) da quel giorno sua figlia la sposerei ancora 12 volte...

Già, ma come funziona in Messico il matrimonio? Che burocrazia c'è dietro? Cosa bisogna fare?
Le informazioni che vi darò ora sono un po' datate, quindi prendetele con le molle.

Innanzitutto la tradizione prevede che i genitori del fidanzato si rechino da quelli della promessa sposa per "chiederla". Piaccia o no è così.
Per me è stato un po' diverso. Mi sono presentato da solo, data la distanza. E sono stato sempre bene accolto.

Il matrimonio concordatario è un istituto italiano. In Messico, se si desidera sposarsi sia in comune che in chiesa si devono fare le cose in due momenti separati.
Prima in comune. La chiesa cattolica in Messico richiede l'atto di matrimonio civile per procedere.

Del matrimonio in chiesa vi ho parlato l'anno scorso. In occasione dell'anniversario del matrimonio civile vi racconto come è andata.

Bisogna avere i documenti già pronti dall'Italia, o ci vorrà qualcuno che se li procuri. Che io ricordi mi è servito solo l'atto di nascita (quello completo, con l'indicazione dei genitori). Ho chiesto il modello multilingue ed ho fatto apporre dalla prefettura il timbro della Apostille, una roba di questo genere.

Immagine presa dal web
Per avere questo timbro, il documento deve essere firmato da una persona che ha la firma depositata in prefettura. In comune ce ne deve sempre essere qualcuno, bisogna interessarsi e chiedere prima.
Ci presentiamo al registro civile per chiedere l'elenco dei documenti. Del fatto che il mio atto di nascita sia già (anche) in spagnolo, essendo multilingue, non gli importa un fico secco. Vogliono la traduzione fatta da un traduttore ufficiale. Insisto, trovo una funzionaria che sa che l'atto va bene così e che non devo farlo tradurre dallo spagnolo allo spagnolo.

E' da notare il fatto che per sposarsi vengano anche richieste le "analisis prenupciales", cioè delle visite mediche. Il risultato di queste analisi non ha alcuna importanza per il comune, è richiesto solo che si facciano. E' una misura importante, serve a far conoscere ai futuri coniugi i rischi che in alcuni casi ci possono essere con il concepimento (es. due portatori sani di anemia mediterranea).

Nel caso in cui uno dei due sposi sia minorenne è sufficiente l'autorizzazione dei genitori. Non ci sono procedure particolari (per quanto ne so, in Italia, ci vuole il permesso del giudice). Comunque non era il nostro caso. Mentre eravamo lì, però, abbiamo sentito un impiegato dire ad un altro "quando si presentano queste persone, non sposatele, i genitori hanno negato il consenso".

Altra curiosità, i documenti si presentano sempre in originale e copia. Lo fanno per confrontarli, poi ti lasciano l'originale (spesso) e si tengono la copia. Meglio così, ci sono documenti che può essere difficile o costoso dover rifare quando servono di nuovo.

La procedura per sposarsi, per un cittadino straniero, in Messico, prevede anche di farsi prendere in giro da Miguel, l'impiegato dell'ufficio immigrazione.
- Bene, cosa posso fare per te?
- Mi voglio sposare

Scuote la testa da dietro il bancone
- No, non va bene.
- Ma sì, sono convinto

Tira fuori l'elenco dei documenti da presentare
- Ma ci hai pensato bene? Ok, portami queste carte. Ma sei sicuro? Non farlo!

Quando gli riporto le carte sono insieme alla mia fidanzata. Lui riattacca tentando di dissuadermi, e lei
- Ma sta zitto, con quel che ci ho messo per convincerlo... (macché!)

Ero già residente in Messico, con il permesso di lavoro, ed in possesso dell' FM3, un documento fatto così (almeno allora così era il mio, un libretto simile al passaporto).

Immagine presa dal web

Sul mio FM3 è stato annotato prima il permesso per il matrimonio e, successivamente, il matrimonio stesso.
Per chi avesse qualche dubbio: la burocrazia messicana fa a gara con quella italiana, a volte può essere anche peggiore e i burocrati stessi possono essere anche più stupidi. Non scuotete la testa, è possibile! Meno male che l'ufficio immigrazione funzionava bene, altrimenti sarebbe stata dura per me.

Documenti in regola, ci presentiamo il giorno del matrimonio.
Nessuna cerimonia particolare, sembra una fila di quelle per un documento, un bel po' di caos, ci sono molte coppie.
Due testimoni per ciascuno. Ci sono tre componenti del coro dove canta mia moglie e il mio direttore.
Ricontrollano i documenti. No, non vanno bene, il certificato deve essere tradotto.
Ma come? L'avete già accettato, abbiamo parlato con xxxx.
Non lavora più in quest'ufficio.
Le persone le spostano continuamente come pedine, e quello che fai con il funzionario precedente non vale con il successivo.
Ma come? Le ripeto. E' già in spagnolo, cosa c'è da tradurre?
No, non si fidano, è un documento che viene dall'estero, quindi deve essere tradotto. Non hanno nemmeno l'intelligenza e la voglia di leggerlo per rendersi conto che è così, il fatto che ci siano anche delle scritte in altre lingue li disturba.

Stavano rifiutando di sposarci!

Intanto fanno passare avanti le altre coppie, rimaniamo per ultimi. Per fortuna c'era in ufficio un'altra persona che sapeva che il documento era valido.
Dopo un'ora o due di guerra di nervi, ci sposano. Maledetti! E c'è da dire che non hanno nemmeno imparato e, successivamente, ad altre persone, hanno continuato a richiedere la traduzione di questo documento.
Passiamo a firmare l'atto. E a metterci le impronte digitali. E qui mia moglie controlla che io firmi e metta le impronte per bene.


Poi ci fanno accomodare in una sala dove ci fanno la domanda di rito: "tu, Luciano... vuoi prendere... come tua legittima sposa?"
Rimango spiazzato. Ma, come? Gli articoli di legge non li leggono? Era così bello quando, nel film di don Camillo cominciano con "il marito è il capo della famiglia..."
No, non ti leggono un fico secco. Vuoi o no?
Certo che sì.
Vi dichiaro marito e moglie. Applausi, abbracci. Quello che vedete a destra nella foto era il mio direttore.


Purtroppo non c'è più, ne ho pianto la scomparsa qualche anno dopo.
Si ritorna all'ufficio immigrazione col certificato, per far trascrivere il matrimonio sull'FM3. I geni del registro civil hanno dimenticato di aggiungere l'annotazione che indica che ho presentato l'autorizzazione dell'ufficio immigrazione come straniero.
Nuovo giro, ripasso dal registro civil, mettono l'annotazione e poi si torna all'ufficio immigrazione.
Meno male che lavoravo la sera, così di giorno questi documenti li potevo fare!

Finita qui la burocrazia? O come si dice in Messico, la burro-crazia? Burro significa asino, più chiaro di così...
Ahem, no. Bisogna far trascrivere il matrimonio in Italia.
Devo dire che questa volta è stato facile. Il consolato più vicino è a Città del Messico. Ci siamo andati un paio di mesi dopo e abbiamo portato lì i documenti.
- Tutti in regola, devi solo farmi una traduzione di questo
- Dove posso andare per farla? Cercavo un punto internet, dove hanno un pc per non scriverla a mano.
- A casa tua ar compiuter. E' la risposta dell'educatissimo impiegato del consolato.
Vabbè. Quella è una zona residenziale, niente servizi. Prendiamo l'autobus e troviamo un posto dove andare. Torniamo in tempo prima della chiusura. E' fatta.
Due mesi dopo torniamo in Italia e il matrimonio è stato trascritto. Nessun intoppo. Marito e moglie anche in Italia.

sabato 9 gennaio 2016

cose dell'altro mondo

Siamo nel 2016, ce ne siamo accorti, eh!
Forse qualcuno no. E allora un piccolo sforzo per fargliene accorgere ci vuole.
E' quel che mi è capitato oggi. Una scena forse fin troppo consueta, ma no, oggi non mi andava di fare finta di niente.
Semplicemente, un tizio, per strada, apre un pacchetto nuovo di sigarette e butta i rifiuti per terra.
Non è una scena purtroppo nuova da queste parti, anzi, è così roba di tutti i giorni che la città è un autentico immondezzaio. E giù ogni giorno a vedere segnalazioni su segnalazioni sui social network. Ma queste lasciano poi il tempo che trovano.
Beh, stavolta ho voluto dire basta. E ho fatto al tizio, un signore di mezza età,
"ma insomma, si butta tutto lì per terra?"
e questo "sì", con la gran faccia tosta.

No, una cosa del genere non era accettabile, gli ho detto che è un grandissimo incivile.
- va via che non ho voglia di discutere, se no ti do una labbrata.

Ecco, un piccolo gesto maleducato come buttare qualcosa per terra, già non è da tollerare. Ma tutti sbagliano. Quel che è grave è risponder male a chi te lo fa notare e rifiutarsi di correggere. Questo no, per me non va mai, e dico MAI e ripeto MAI perdonato, ma condannato con la massima severità.

- gentaglia come lei non dovrebbe esserci sulla faccia della Terra. E ora venga dai vigili se ha il coraggio.

Questa è stata la mia risposta.
Il comando dei vigili era poco distante, e il tizio ha continuato a dire che mi avrebbe mollato una labbrata. Peggio per lui.
Suono il campanello al comando dei vigili urbani
- potete intervenire per favore, c'è un tizio che vuole menarmi.
- dov'è?
- è qui, sta arrivando

L'imbecille ha raccontato la sua versione, dicendo che l'ho offeso (ma quando?). I vigili hanno tentato di calmare le acque, ma sono stato durissimo. O andava a raccogliere quello che aveva buttato o avrei fatto la segnalazione, che significava una multa per lui.

Non è facile spuntarla in queste occasioni. Mi è andata bene. Proprio perché sentendosi provocato, lo scemo è venuto dai vigili. Se se ne fosse andato per conto suo, sarebbe stato difficile trascinarlo al comando della polizia municipale.
Bene, il tizio è dovuto andare a raccogliere le sue cartacce, accompagnato da un vigile.

Cosa succederà poi? Secondo me:
- se non troverà più nessuno ad ostacolarlo lo rifarà peggio di prima, sentendosi offeso e sempre in diritto di fare quello che gli pare
- se troverà almeno due o tre persone che faranno la stessa cosa, si arrenderà all'evidenza e la smetterà.
Difficile che accada. Troppo difficile. E come lui ce ne sono troppi, la maggioranza.

Siamo nel 2016, e ancora c'è al mondo gente così. E ancora nel 2016 c'è da incazzarsi col prossimo che non ha capito che comportarsi civilmente è un dovere, non un qualcosa che non lo riguarda.
Cose dell'altro mondo...