domenica 28 dicembre 2014

Dia il topastro





Eccolo qui. La Tremendazza si è decisa.
Non si tratta di un pappagallino, alla fine ha optato per un piccolo criceto roborosky. Non è che sia tanto socievole, anzi, per tenerla in mano così bisogna prenderla e lei scapperebbe e basta.
Gliel'avevo detto alla figliola, che il criceto è un animale notturno, Infatti rompe tutta la notte quando gioca nella ruota e di giorno sonnecchia alla grande nella casetta.
Ma lei è contentissima così. Credo che sia stata una scelta, tutto sommato, azzeccata per la sua età. Perché è lei "la responsabile del criceto", così si definisce. Quindi, delle piccole cure di cui necessita la bestiola (pulizia della gabbietta e preparazione del cibo) se ne occupa la Tremendazza. A 5 anni è una responsabilità che calza a pennello.
Si chiama Dia ed è una femmina. Non so che cosa significhi questo nome, ma la padroncina se l'è inventato già mentre la portavamo a casa. E' davvero vivace, appena ha scoperto la ruota ci ha girato dentro per ore.
Poi abbiamo deciso di attaccarle una dinamo con l'impianto elettrico della casa, ora l'energia del pc con cui sto scrivendo la fornisce la ruota del criceto.
Spero che sia contenta e si trovi bene. Finora ha dimostrato di apprezzare il vitto e l'alloggio, un po' meno la compagnia.
Le foto sono quel che sono, ma il soggetto non sta molto fermo...

Il puzzle


Un puzzle.
Queste sono le nostre giornate. Tutti pezzi di un puzzle che cerchiamo di collocare.
Una al giorno.
365 all'anno.
In una vita possono essere più di trentamila.
Uno di quei puzzle belli difficili, che non si trovano nei negozi. Di quelli che vedi sul catalogo e scopri che la fabbrica ne ha fatto solo qualcuno. Di quelli che viene sempre la voglia di fare e che rimandi perché non sapresti dove metterlo, grande com'è.
E non è che hai subito tutta la cornice pronta per mettere il resto. No, un giorno ti capita un pezzo che non sai assolutamente come incastrare, che non combina con gli altri, né per la forma né per il colore. E lo tieni lì da parte.
Perché non hai nemmeno la scatola per vedere poi come viene questo puzzle bello e finito.
Un giorno il pezzo che ti arriva te ne mette insieme tanti altri e dà un senso a quelli che ti mancavano.
E qualche volta ti accorgi che le tessere che credevi di avere incastrato così bene, forse vanno messe in un altro modo.
E mentre tu componi il tuo mosaico, a volte capita anche che ti caschi per terra e che i pezzi che avevi così faticosamente incastrato si perdano. E ti tocca ricominciare.
Magari, a far cadere per terra la tua opera è stato qualcun altro. E non sempre puoi farci qualcosa. Però puoi rimettere insieme tutto e fare un nuovo mosaico più bello di prima. O anche meno, ma diverso.
E puoi essere tu a trovare l'incastro giusto per le giornate che butteresti via.
Stanno per arrivare altri 365 pezzi. E non tutti saranno del colore e della forma che va bene a noi. Possiamo solo cercare di girarli dalla parte giusta.
Dedicato a chi si sente a pezzi e ha bisogno di rimetterli insieme.

giovedì 25 dicembre 2014

Babbo Natale

Esiste Babbo Natale?
Dicono di no. Ma è davvero così importante?
Non lo so. Leggo ogni tanto dei bambini che scoprono che Babbo Natale non esiste e piangono. E mi chiedo se a mia figlia succederà un giorno, lei che oggi ci crede con tutto il cuore, che si comporta bene qualche giorno all'anno (non ci spero che faccia di più) sperando nella sua visita.
Ma io quando l'ho scoperto che Babbo Natale non esiste? Forse sempre, forse mai. Forse non ci ho mai creduto davvero.
Quando ci penso dico "è come Paperino", o come i Puffi, e i cartoni della mia infanzia. Esistono davvero questi personaggi? No, ma so che Paperino è stato uno dei miei migliori compagni d'infanzia. Importa davvero che sia solo disegnato, che ci siano autori, cambiati nel tempo? Per me è sempre Paperino.
E lo stesso è per Babbo Natale. C'è qualcuno che lo impersona, che rende possibile incontrarlo per strada, stringergli la mano, parlarci. C'è qualcuno che lo impersona la notte di Natale, quando la mattina la figlia incredula ti dice "è passato davvero, ci ha portato i regali".
La bellezza della sorpresa, quando qualcuno impersona Babbo Natale, fa che lui esista davvero.

domenica 21 dicembre 2014

Expat

Qual è l'hobby più popolare al mondo? L'occupazione che dalla notte dei tempi vede impegnate persone di ogni età, sesso, ceto sociale e cultura?

Collezionare francobolli? Lavorare all'uncinetto? Scolpire il legno?
No, siamo fuori strada. Non c'è nulla di più diffuso e popolare del giudicare il prossimo. Non si salva nessuno, forse, e probabilmente nessun'altra occupazione dà tante soddisfazioni e gratificazioni, visto che c'è chi non si dedica ad altro. 

Questo post prende in parte spunto da un articolo di uno dei blog a cui sono molto affezionato.
Ci metto sempre molto a scrivere qualcosa, e mi dispiace, ma se non arriva il fine settimana, il tempo di dedicarmici mi manca davvero.
Mimma risponde a una delle tante persone che non hanno di meglio da fare che sparare giudizi ad capocchiam sugli altri. 

Il succo del discorso sarebbe questo: 
sono in molti gli italiani che si sono trasferiti all'estero, insieme alle loro famiglie, per tanti motivi, spesso per lavoro. Spesso solo il marito/padre lavora fuori casa, mentre la moglie/mamma no. Perché la famiglia si è regolata in questo modo, punto. Sono scelte che si fanno spesso in due, a volte obbligate. 

Non manca mai, però, chi, con tanta invidia, classifica queste donne come "mantenute", nullafacenti, al seguito di mariti con contratti d'oro. Ho visto sui vari blog, in cui le mamme/mogli h 24 raccontano la loro esperienza, anche delle brutte offese.
Insomma, stiamo passando da una discriminazione all'altra riguardo alle mogli. All'epoca di Don Camillo la moglie che andava a lavorare era una poco di buono, la donna doveva essere tutta casa e chiesa. Oggi invece, se in una famiglia lavora, perdòn, guadagna solo lui, la donna è una mantenuta. 

A me sono girate un po' le palle. Lo posso dire? Sì, su questo blog sono ammesse con moderazione un po' di parolacce.
Vivo in Italia, all'estero ci ho passato, per ora, solo un annetto, e quindi, in teoria, di cosa significa vivere fuori dai confini nazionali dovrei sapere ben poco. 
Il termine expat, poi, dovrebbe essere, secondo qualcuno, riservato a una ristretta minoranza. Quindi, il fatto che, anche vivendo a poche centinaia di Km dal posto dove sono nato, non ci torno da tanti anni, che i parenti li sento solo per telefono, che non assaggio pane di Matera da prima che nascesse mia figlia, che non so nemmeno più come è diventata oggi la mia terra, non conta una cippa. Anche se con chi vive all'estero qualcosa in comune ce l'ho.

Quello che invece ho la pretesa di conoscere molto bene sono le difficoltà e i sacrifici di una moglie expat, anche se molto spesso una donna, quando c'è da stringere i denti e andare avanti, lo fa senza fiatare.
Mi viene da dire a chi giudica troppo facilmente:
mettiamo che, per 30 anni, hai vissuto nello stesso posto, nella stessa casa. Senza allontanarti mai dalla tua città per più di un paio di giorni.
Nella tua città lavori, fai la segretaria. E la segretaria, nel tuo paese di origine, dattilografa sulla macchina meccanica, stenografa, si occupa di documenti e burocrazia, che sono notoriamente diversi da paese a paese.

Poi, un giorno, arriva un rompicoglioni che ti stravolge la vita. E decidi di sposarlo. All'inizio è lui a venire a vivere dove sei tu, ma poi, a malincuore, diventa necessario spostarsi perché il lavoro e il contante scarseggiano. E si va nel suo paese.
Ma lì tu non potresti lavorare, almeno non ancora. Non hai il permesso per farlo. E la necessità c'è lo stesso. Una soluzione si trova. In nero, perché diversamente non si può fare. Restauro, che bello. Che interessante. Anche se la parte di lavoro che fai consiste nel pulire polvere di duecento anni e merda di topo. 
Ma ti impegni, impari anche le parti migliori del lavoro e diventi brava. Finché dura.
Poi finisce anche quello. Bisogna inventarsi qualcos'altro. Ma cosa ti inventi in una piccola cittadina del Sud Italia?

Intanto arriva la cittadinanza. Ora potresti ufficialmente lavorare. Ma il lavoro di segretaria, anche a trovarlo, è completamente diverso, e il tuo titolo di studio forse non è nemmeno riconosciuto.
Non c'è molto da fare, si parte. Prima parte tuo marito, trova un lavoro dall'altra parte dell'Italia. E tu da sola resti a impacchettare la casa, almeno quel che riesci a portare in treno.

Si ricomincia da un'altra parte. Ma anche lì, cosa ti inventi? 
All'ipermercato cercano personale. Ci provi. Mandi una richiesta. Nessuna risposta. Forse vorrebbero come requisiti minimi il diploma (italiano) la patente e una macchina a disposizione, perché è troppo fuori mano e non avere l'auto è come non avere le gambe. Purtroppo queste due cose non ci sono, e non è facile arrivarci ad averle tutte da un momento all'altro.
E poi un giorno: "ho trovato lavoro, vado a fare le pulizie in una casa". Mica schifata, lo dici con entusiasmo. Faticoso come sappiamo tutti, sempre in nero perché i contributi non te li pagano, ma va bene così. Ti viene offerto anche di coltivare un pezzetto di terra in cambio delle verdure dell'orto. Una bella occasione per imparare qualcosa di nuovo, oltre che per avere cibo di ottima qualità. Non ti tiri indietro.

E intanto decidi di metterti anche a studiare. E scopri che c'è un corso di italiano per stranieri. Ti fanno un piccolo test. L'italiano l'hai imparato abbastanza in tre anni, ti fanno una proposta migliore. Perché non ti iscrivi alla scuola media? Un corso serale, in un anno prendi la licenza media. Accetti. E studi.
E poi, a metà anno scolastico, la figlia tanto desiderata annuncia la sua presenza e il suo arrivo entro nove mesi.
La gravidanza della donna expat non è come quella della donna che vive nel suo paese. La solitudine pesa tanto. L'aiuto manca. Il marito, per tutto il giorno non c'è, arriva solo la sera, bisogna arrangiarsi da sole per tutto. E come sarebbe più facile tutto se ci fosse almeno una persona cara vicino ad aiutarti ogni tanto. Ma no, non c'è.
Un mese allucinante, passato a vomitare ogni giorno. Solo un mese, capita in ogni gravidanza, ci può stare, ma è tutto più difficile così. Il lavoro lo lasci, è troppo rischioso proseguire quel lavoro in gravidanza. E siccome era in nero non ti tocca un centesimo.
La scuola no, appena stai meglio decidi di continuare. Arrivi agli esami con un pancione di sette mesi. E prendi pure un bel voto.

La casa è piccola per accogliere anche la nuova nata. Bisogna traslocare. Per fortuna sullo stesso piano, senza andare lontano. Ancora tanto lavoro faticoso, con la pancia che cresce.
Nella nuova casa si riesce anche a mettere quel che mancava da portare da Matera. Così il marito parte e fa questo lavoretto, lasciandoti ancora sola, all'ultimo mese. 
Ormai la figlia potrebbe nascere da un momento all'altro e sei sola. Se succede qualcosa non hai nessuno a cui chiedere aiuto. Ti accarezzi la pancia e le chiedi di aspettare. "Aspetta, ora arriva papà e ci porta in ospedale". E la figlia aspetta.

Il marito si imbarca in un'impresa un po' folle. Comincia l'università. E' una scelta condivisa. E' una scelta giusta, che porterà alla salvezza economica della famiglia, perché poco dopo si perderà anche il lavoro precedente. 
Ma avere un marito che lavora e studia significa non avere mai una mano in casa. Doversela cavare da sola con la figlia che cresce quando lui va a cercare un nuovo lavoro. E resta lontano tutta la settimana. Magari il merito se lo prende tutto lui, ma se non fosse per te che ti occupi della bambina, col cazzo che lui potrebbe andarsene via per giorni per poter dare gli esami, studiare ogni sera, ecc.
Altri traslochi. Pacchi, scatoloni, fatica. Con la figlia che intanto cresce e richiede sempre più attenzioni. 

Anche quando si conquista un po' di stabilità, la figlia comincia ad andare all'asilo e si respira un po', fare la mamma a tempo pieno non è mai facile. In Italia non avere la patente (e quindi la macchina) è come non avere le gambe. E' faticoso da morire dover andare ovunque a piedi. Decidi di provarci a prendere la patente e ce la farai di sicuro.
Cercare lavoro è sempre un'impresa, non solo perché non si trova, ma perché un aiuto con la figlia non c'è mai. Non ci sono nonni, zii, altre persone che ti possano dare una mano. 
Vacanze, malattie, scioperi, la scuola non può garantire una copertura sufficiente a permettere a una mamma di trovare lavoro. E una baby sitter costerebbe più di quanto si può guadagnare, non ne vale decisamente la pena.

La lontananza dalla famiglia ha il suo peso. Otto anni ormai, senza tornare da tua madre. I costi sono diventati proibitivi, il Messico un posto sempre meno sicuro, le ferie non sono mai sufficienti a coprire un periodo abbastanza lungo da permettere questo viaggio. 

Non so, forse non ho detto nulla di particolare, o forse sì. Forse saranno in tante le donne che di sacrifici come questi ne hanno fatti. 
E' che quando qualcuno si mette a giudicare e classifica le mogli altrui come mantenute mi girano le palle. 

domenica 14 dicembre 2014

Cose che non si possono comprare. 2 - gli animaletti

Ci sono cose che non si possono comprare. Un pomeriggio con la figlia, anche quando avrei molto da studiare è una di queste.
Fa un freddo assurdo (per i miei parametri ovviamente, cioè a dicembre in Italia ci sono temperature che non vorrei mai mai vedere). Così si esce di pomeriggio presto, nelle ore più calde.
La tremendazza adora gli animali e adesso che, per Natale hanno montato le bancarelle e vendono ogni sorta di animaletto domestico, passerebbe ore a guardarli, a cercare di accarezzarli tutti.
E non se ne fa sfuggire nessuno.
Cagnolini, criceti, porcellini d'india, pesci rossi, tartarughine, camaleonti, conigli, uccellini.
Ovviamente li vorrebbe tutti.
Anche a noi piacerebbe avere un cucciolo in casa, ma ci siamo sempre trattenuti, sia per l'impegno richiesto, tanto economico quanto di tempo, sia perché i nostri continui spostamenti non sono favorevoli.
Un cane, lo vorremmo. Ma in appartamento no, mi oppongo, finché non potremo avere un giardino.
Mi piacerebbe invece una coppia di pappagallini. Come quelli piccoli nella foto (sono cocorite?) Li ha fotografati la tremendazza.
Ma ho sempre molti dubbi riguardo agli uccelli in gabbia.
Esistono uccellini che in gabbia, o comunque, in casa, stanno bene? O è comunque una sofferenza per tutti?
In che modo arrivano queste bestiole sulle bancarelle? Attraverso degli spietati metodi di cattura, sottratti al loro habitat o sono razze ormai completamente ed esclusivamente domestiche?
Quanto impegno richiedono?
Chi ha consigli da dare?


martedì 9 dicembre 2014

Un lucano

Seicentomila. Anche meno
La metà di Torino, un decimo di Roma. Questa è la popolazione della Basilicata. Probabilmente ce ne sono altrettanti emigrati.
Una regione piccola piccola, che molti non sanno neanche dov'è. E molti non sanno che è un piccolo paradiso.
Quando la nostra regione piccola e dimenticata viene mostrata in televisione, passa la voce tra i lucani "oggi su quel canale c'è un servizio sulla Basilicata". Tanto è il nostro desiderio di far sapere che esistiamo anche noi.
E quando un lucano diventa famoso ci inorgogliamo come se ne avessimo qualche merito.

L'altro ieri abbiamo perso la nostra voce.
Non l'ho saputo dai tg nazionali. La notizia mi è arrivata da Matera.

La Basilicata amava tantissimo Mango, anzi Pino, come a molti piaceva chiamarlo, come se lo conoscessero di persona. E lui amava la nostra terra e ne portava alto il nome.
Mediterraneo nomina tutto il paesaggio che ogni italiano conosce bene. Ma gli ulivi sono qualcosa di più.

Siedi qui
e getta lo sguardo giù
tra gli ulivi
l’acqua è scura quasi blu

L'ulivo ha il carattere dei lucani. Non arriva mai in alto perché non va mai dritto. Prende una direzione, poi cambia idea e gira. Ed è per questo che il suo legno è così bello e ricco di venature.
Mango ha dedicato delle belle canzoni alla Basilicata. E sono quelle che ho amato di più. Gliene sono sempre stato grato.

Nella mia città... c'è rimasto un prato
ancora un po' spelacchiato

perché noi non abbiamo pascoli verdi, ma colline brulle, sassi e un po' d'erba ogni tanto. I prati dei miei campeggi. La natura selvaggia del nostro piccolo paradiso che Mango ha celebrato tante volte.

Grazie a tutti quelli che l'hanno ricordato con delle belle parole.

domenica 7 dicembre 2014

Cose che non si possono comprare

Ormai si è capito, questo blog non ha un filo conduttore. Sconclusionato, senza né capo né coda come i miei pensieri.
Un giorno viene fuori un post pesante e tristissimo su qualche evento storico, un altro la prima cazzata che mi viene in mente per far ridere, un altro ancora potrei fare "benvenuti nella mia cucina" come la Parodi.

Così oggi si inaugura una nuova rubrica. Cosechenonsipossonocomprare.

Ci sono cose che non si possono comprare, diceva una pubblicità. 
Cose che non hanno prezzo.
Ogni tanto me ne viene in mente una.

Quella di questa sera è:

Raccontare la favola di Cappuccetto Rosso con la voce del lupo marpione che fa "Dove vai, bella bambina?" non ha prezzo. Ci sono cose che non si possono comprare...

Quali sono le vostre cose che non si possono comprare?

giovedì 4 dicembre 2014

I biscotti

Una ricetta per mille occasioni


Udite udite,
si presenta a voi la soluzione a mille problemi.
Dista da voi troppo il loco ove si vendono le migliori prelibatezze da manducare al mattino? (Traduzione: vivete all'estero e i vostri biscotti preferiti non arrivano?)
Necessitate di una diversione per i vostri pargoli in un dì di tempo funesto?
Volete gratificar qualcuno con un presente?
Disiate vendicarvi d'un torto subito?
Ecco che vi si propone il modo d'ottener tutto ciò. Non crucciatevi se la ricetta non è sufficientemente chiara durante la lettura. Essa vi verrà riproposta tradotta in forma meno ardua alla fine.

La ricetta, di mia invenzione, mi fu utile finora a diversi di questi scopi. Tranne l'ultimo, che non ho avuto ancora occasione di sperimentare, per il quale si crea un'apposita variante.

Andiamo dunque a mostrar come si realizza tale opera.
Vediamo qui tutto il necessario: ingredienti e utensili.


Se vi occorse la geniale idea di acquistar lo cioccolato in pezzettoni di grosse dimensioni, adopratevi nel ridurlo in pezzetti piccoli, di svariate forme et dimensioni.


Si comincia col romper le uova. A tale incarico si offre volontaria la Tremendazza. Chi meglio dello pargolame vostro, infatti, eccelle nella sublime arte di rompere le uova?




Indi aggiungere zucchero e sbattere energicamente, meglio se con l'ausilio di moderni elettromeccanici sbattitori.
Lasciate ogni speranza di poter già prender parte all'opera. La Tremendazza, la quale ha ormai appreso la sublime arte attraverso anni di esercizio, esigerà di essere la protagonista.



Ponete ordunque gli altri ingredienti: margarina, cioccolato, yogurth, e infine la farina e il lievito, meglio se setacciati, cosicché non producano grumi.




Qualora si renda necessario, durante la lavorazione, saggiare la consistenza nonché il sapore dell'impasto, non vi mancherà chi con dedizione caricherà su di sé tale pesante fardello.



Quando la massa sarà diventata troppo dura per le giovani braccia del vostro tenero virgulto, provvedere a completare l'opera impastando con le mani.
Giunge ora il momento di accendere il forno, acciocché sia caldo quando l'adoprerete.




Orbene, d'ora in avanti il forno sarà l'unico mestiere vostro, la Tremendazza vi esproprierà di ogni altra mansione, dallo stendere la pasta al crearne le forme.
Questa volta ella ha voluto proporre le sue creazioni. Ha deciso quindi di produrre biscotti a forma di pallina e un unico enorme biscottone. 








Così si presentano i biscotti usciti dal forno e l'opera è compiuta. 
Per li homini che a tale nobile arte si dedicano: abbiate cura di lasciar il luogo dove avete prodotto le vostre creazioni netto siccome lo avete trovato (traduzione: pulite tutto), affinché le vostre gentili signore non abbiano a rompervi lo mattarello sulla capoccia, rendendolo inutilizzabile per le volte successive (lo mattarello, ovviamente. La capoccia ha ben ragione d'un duro legno di faggio).

Per le gentili signore: se fino a questo punto avete fatto tutto da sole e non vi fu dato ausilio alcuno, rassegnatevi, non arriverà al momento di pulire.

Come promesso, da qui in poi si presenta la ricetta in lingua originale (non dimenticate, nel caso la usiate per vendicarvi d'un torto subito, di aggiunger poche gocce di un potente lassativo). Come da consuetudine si propone la dose minima (che impone l'uso di un indivisibile uovo), più facile da moltiplicare.

Sono graditi commenti e spolliciamenti!

Biscotti


Ingredienti (per circa 8/900 g di biscotti):

-        ½ Kg di Farina 00
-        150 g di Zucchero
-        200 g di Margarina
-        1 Uovo
-        3 cucchiai di Yogurth bianco non zuccherato
-        1 bustina (16 g) di lievito per dolci (tipo Pane degli Angeli)
-        80 g di cioccolato fondente

Procedimento:

Tirare fuori la margarina dal frigorifero un po’ prima di iniziare per farla ammorbidire. Se si lavora con la frusta elettrica è molto più facile incorporarla, altrimenti conviene scaldarla a bagnomaria per farla sciogliere.
In un piatto grande, tipo insalatiera, sbattere l’uovo con lo zucchero.
Aggiungere la margarina e mescolare fino a farla incorporare completamente.
In un piatto o su un tagliere tagliare il cioccolato a pezzi piccoli e metterlo nell’impasto.
Aggiungere lo yogurth e mescolare.
Aggiungere poco a poco la farina e, con l’ultima farina, il lievito. Con lo spargifarina o con un colino si riesce a evitare che si formino grumi.
Man mano che si aggiunge farina l’impasto si indurisce e diventa sempre più difficile mescolarlo con la frusta elettrica o col cucchiaio di legno e si passa a impastare con le mani.
Quando è stata aggiunta tutta la farina e l’impasto ha la giusta consistenza non si attacca alle dita.
Accendere il forno a 180° per farlo preriscaldare prima di cominciare a sagomare i biscotti.
Tirare fuori l’impasto dal recipiente e stenderlo col mattarello fino a uno spessore di circa mezzo centimetro. Con una tazzina da caffè o con una formina ritagliare i biscotti e disporli su un foglio di carta da forno, distanziandoli un po’ per permettere di lievitare. Mettere il tutto sulla leccarda del forno.
Infornare a 180° per circa 12-15 minuti. Dopo 10 minuti si può aprire il forno e controllare la cottura. 
Dato che sono necessarie più infornate, conviene utilizzare 2 fogli di carta da forno e tenere pronta l’infornata successiva mentre la precedente cuoce. Quando un’infornata è pronta, mettere la successiva sulla leccarda e lasciar raffreddare i biscotti pronti con attenzione e senza prenderli in mano perchè il cioccolato è ancora fuso e SCOTTA!