domenica 28 dicembre 2014

Dia il topastro





Eccolo qui. La Tremendazza si è decisa.
Non si tratta di un pappagallino, alla fine ha optato per un piccolo criceto roborosky. Non è che sia tanto socievole, anzi, per tenerla in mano così bisogna prenderla e lei scapperebbe e basta.
Gliel'avevo detto alla figliola, che il criceto è un animale notturno, Infatti rompe tutta la notte quando gioca nella ruota e di giorno sonnecchia alla grande nella casetta.
Ma lei è contentissima così. Credo che sia stata una scelta, tutto sommato, azzeccata per la sua età. Perché è lei "la responsabile del criceto", così si definisce. Quindi, delle piccole cure di cui necessita la bestiola (pulizia della gabbietta e preparazione del cibo) se ne occupa la Tremendazza. A 5 anni è una responsabilità che calza a pennello.
Si chiama Dia ed è una femmina. Non so che cosa significhi questo nome, ma la padroncina se l'è inventato già mentre la portavamo a casa. E' davvero vivace, appena ha scoperto la ruota ci ha girato dentro per ore.
Poi abbiamo deciso di attaccarle una dinamo con l'impianto elettrico della casa, ora l'energia del pc con cui sto scrivendo la fornisce la ruota del criceto.
Spero che sia contenta e si trovi bene. Finora ha dimostrato di apprezzare il vitto e l'alloggio, un po' meno la compagnia.
Le foto sono quel che sono, ma il soggetto non sta molto fermo...

Il puzzle


Un puzzle.
Queste sono le nostre giornate. Tutti pezzi di un puzzle che cerchiamo di collocare.
Una al giorno.
365 all'anno.
In una vita possono essere più di trentamila.
Uno di quei puzzle belli difficili, che non si trovano nei negozi. Di quelli che vedi sul catalogo e scopri che la fabbrica ne ha fatto solo qualcuno. Di quelli che viene sempre la voglia di fare e che rimandi perché non sapresti dove metterlo, grande com'è.
E non è che hai subito tutta la cornice pronta per mettere il resto. No, un giorno ti capita un pezzo che non sai assolutamente come incastrare, che non combina con gli altri, né per la forma né per il colore. E lo tieni lì da parte.
Perché non hai nemmeno la scatola per vedere poi come viene questo puzzle bello e finito.
Un giorno il pezzo che ti arriva te ne mette insieme tanti altri e dà un senso a quelli che ti mancavano.
E qualche volta ti accorgi che le tessere che credevi di avere incastrato così bene, forse vanno messe in un altro modo.
E mentre tu componi il tuo mosaico, a volte capita anche che ti caschi per terra e che i pezzi che avevi così faticosamente incastrato si perdano. E ti tocca ricominciare.
Magari, a far cadere per terra la tua opera è stato qualcun altro. E non sempre puoi farci qualcosa. Però puoi rimettere insieme tutto e fare un nuovo mosaico più bello di prima. O anche meno, ma diverso.
E puoi essere tu a trovare l'incastro giusto per le giornate che butteresti via.
Stanno per arrivare altri 365 pezzi. E non tutti saranno del colore e della forma che va bene a noi. Possiamo solo cercare di girarli dalla parte giusta.
Dedicato a chi si sente a pezzi e ha bisogno di rimetterli insieme.

giovedì 25 dicembre 2014

Babbo Natale

Esiste Babbo Natale?
Dicono di no. Ma è davvero così importante?
Non lo so. Leggo ogni tanto dei bambini che scoprono che Babbo Natale non esiste e piangono. E mi chiedo se a mia figlia succederà un giorno, lei che oggi ci crede con tutto il cuore, che si comporta bene qualche giorno all'anno (non ci spero che faccia di più) sperando nella sua visita.
Ma io quando l'ho scoperto che Babbo Natale non esiste? Forse sempre, forse mai. Forse non ci ho mai creduto davvero.
Quando ci penso dico "è come Paperino", o come i Puffi, e i cartoni della mia infanzia. Esistono davvero questi personaggi? No, ma so che Paperino è stato uno dei miei migliori compagni d'infanzia. Importa davvero che sia solo disegnato, che ci siano autori, cambiati nel tempo? Per me è sempre Paperino.
E lo stesso è per Babbo Natale. C'è qualcuno che lo impersona, che rende possibile incontrarlo per strada, stringergli la mano, parlarci. C'è qualcuno che lo impersona la notte di Natale, quando la mattina la figlia incredula ti dice "è passato davvero, ci ha portato i regali".
La bellezza della sorpresa, quando qualcuno impersona Babbo Natale, fa che lui esista davvero.

domenica 21 dicembre 2014

Expat

Qual è l'hobby più popolare al mondo? L'occupazione che dalla notte dei tempi vede impegnate persone di ogni età, sesso, ceto sociale e cultura?

Collezionare francobolli? Lavorare all'uncinetto? Scolpire il legno?
No, siamo fuori strada. Non c'è nulla di più diffuso e popolare del giudicare il prossimo. Non si salva nessuno, forse, e probabilmente nessun'altra occupazione dà tante soddisfazioni e gratificazioni, visto che c'è chi non si dedica ad altro. 

Questo post prende in parte spunto da un articolo di uno dei blog a cui sono molto affezionato.
Ci metto sempre molto a scrivere qualcosa, e mi dispiace, ma se non arriva il fine settimana, il tempo di dedicarmici mi manca davvero.
Mimma risponde a una delle tante persone che non hanno di meglio da fare che sparare giudizi ad capocchiam sugli altri. 

Il succo del discorso sarebbe questo: 
sono in molti gli italiani che si sono trasferiti all'estero, insieme alle loro famiglie, per tanti motivi, spesso per lavoro. Spesso solo il marito/padre lavora fuori casa, mentre la moglie/mamma no. Perché la famiglia si è regolata in questo modo, punto. Sono scelte che si fanno spesso in due, a volte obbligate. 

Non manca mai, però, chi, con tanta invidia, classifica queste donne come "mantenute", nullafacenti, al seguito di mariti con contratti d'oro. Ho visto sui vari blog, in cui le mamme/mogli h 24 raccontano la loro esperienza, anche delle brutte offese.
Insomma, stiamo passando da una discriminazione all'altra riguardo alle mogli. All'epoca di Don Camillo la moglie che andava a lavorare era una poco di buono, la donna doveva essere tutta casa e chiesa. Oggi invece, se in una famiglia lavora, perdòn, guadagna solo lui, la donna è una mantenuta. 

A me sono girate un po' le palle. Lo posso dire? Sì, su questo blog sono ammesse con moderazione un po' di parolacce.
Vivo in Italia, all'estero ci ho passato, per ora, solo un annetto, e quindi, in teoria, di cosa significa vivere fuori dai confini nazionali dovrei sapere ben poco. 
Il termine expat, poi, dovrebbe essere, secondo qualcuno, riservato a una ristretta minoranza. Quindi, il fatto che, anche vivendo a poche centinaia di Km dal posto dove sono nato, non ci torno da tanti anni, che i parenti li sento solo per telefono, che non assaggio pane di Matera da prima che nascesse mia figlia, che non so nemmeno più come è diventata oggi la mia terra, non conta una cippa. Anche se con chi vive all'estero qualcosa in comune ce l'ho.

Quello che invece ho la pretesa di conoscere molto bene sono le difficoltà e i sacrifici di una moglie expat, anche se molto spesso una donna, quando c'è da stringere i denti e andare avanti, lo fa senza fiatare.
Mi viene da dire a chi giudica troppo facilmente:
mettiamo che, per 30 anni, hai vissuto nello stesso posto, nella stessa casa. Senza allontanarti mai dalla tua città per più di un paio di giorni.
Nella tua città lavori, fai la segretaria. E la segretaria, nel tuo paese di origine, dattilografa sulla macchina meccanica, stenografa, si occupa di documenti e burocrazia, che sono notoriamente diversi da paese a paese.

Poi, un giorno, arriva un rompicoglioni che ti stravolge la vita. E decidi di sposarlo. All'inizio è lui a venire a vivere dove sei tu, ma poi, a malincuore, diventa necessario spostarsi perché il lavoro e il contante scarseggiano. E si va nel suo paese.
Ma lì tu non potresti lavorare, almeno non ancora. Non hai il permesso per farlo. E la necessità c'è lo stesso. Una soluzione si trova. In nero, perché diversamente non si può fare. Restauro, che bello. Che interessante. Anche se la parte di lavoro che fai consiste nel pulire polvere di duecento anni e merda di topo. 
Ma ti impegni, impari anche le parti migliori del lavoro e diventi brava. Finché dura.
Poi finisce anche quello. Bisogna inventarsi qualcos'altro. Ma cosa ti inventi in una piccola cittadina del Sud Italia?

Intanto arriva la cittadinanza. Ora potresti ufficialmente lavorare. Ma il lavoro di segretaria, anche a trovarlo, è completamente diverso, e il tuo titolo di studio forse non è nemmeno riconosciuto.
Non c'è molto da fare, si parte. Prima parte tuo marito, trova un lavoro dall'altra parte dell'Italia. E tu da sola resti a impacchettare la casa, almeno quel che riesci a portare in treno.

Si ricomincia da un'altra parte. Ma anche lì, cosa ti inventi? 
All'ipermercato cercano personale. Ci provi. Mandi una richiesta. Nessuna risposta. Forse vorrebbero come requisiti minimi il diploma (italiano) la patente e una macchina a disposizione, perché è troppo fuori mano e non avere l'auto è come non avere le gambe. Purtroppo queste due cose non ci sono, e non è facile arrivarci ad averle tutte da un momento all'altro.
E poi un giorno: "ho trovato lavoro, vado a fare le pulizie in una casa". Mica schifata, lo dici con entusiasmo. Faticoso come sappiamo tutti, sempre in nero perché i contributi non te li pagano, ma va bene così. Ti viene offerto anche di coltivare un pezzetto di terra in cambio delle verdure dell'orto. Una bella occasione per imparare qualcosa di nuovo, oltre che per avere cibo di ottima qualità. Non ti tiri indietro.

E intanto decidi di metterti anche a studiare. E scopri che c'è un corso di italiano per stranieri. Ti fanno un piccolo test. L'italiano l'hai imparato abbastanza in tre anni, ti fanno una proposta migliore. Perché non ti iscrivi alla scuola media? Un corso serale, in un anno prendi la licenza media. Accetti. E studi.
E poi, a metà anno scolastico, la figlia tanto desiderata annuncia la sua presenza e il suo arrivo entro nove mesi.
La gravidanza della donna expat non è come quella della donna che vive nel suo paese. La solitudine pesa tanto. L'aiuto manca. Il marito, per tutto il giorno non c'è, arriva solo la sera, bisogna arrangiarsi da sole per tutto. E come sarebbe più facile tutto se ci fosse almeno una persona cara vicino ad aiutarti ogni tanto. Ma no, non c'è.
Un mese allucinante, passato a vomitare ogni giorno. Solo un mese, capita in ogni gravidanza, ci può stare, ma è tutto più difficile così. Il lavoro lo lasci, è troppo rischioso proseguire quel lavoro in gravidanza. E siccome era in nero non ti tocca un centesimo.
La scuola no, appena stai meglio decidi di continuare. Arrivi agli esami con un pancione di sette mesi. E prendi pure un bel voto.

La casa è piccola per accogliere anche la nuova nata. Bisogna traslocare. Per fortuna sullo stesso piano, senza andare lontano. Ancora tanto lavoro faticoso, con la pancia che cresce.
Nella nuova casa si riesce anche a mettere quel che mancava da portare da Matera. Così il marito parte e fa questo lavoretto, lasciandoti ancora sola, all'ultimo mese. 
Ormai la figlia potrebbe nascere da un momento all'altro e sei sola. Se succede qualcosa non hai nessuno a cui chiedere aiuto. Ti accarezzi la pancia e le chiedi di aspettare. "Aspetta, ora arriva papà e ci porta in ospedale". E la figlia aspetta.

Il marito si imbarca in un'impresa un po' folle. Comincia l'università. E' una scelta condivisa. E' una scelta giusta, che porterà alla salvezza economica della famiglia, perché poco dopo si perderà anche il lavoro precedente. 
Ma avere un marito che lavora e studia significa non avere mai una mano in casa. Doversela cavare da sola con la figlia che cresce quando lui va a cercare un nuovo lavoro. E resta lontano tutta la settimana. Magari il merito se lo prende tutto lui, ma se non fosse per te che ti occupi della bambina, col cazzo che lui potrebbe andarsene via per giorni per poter dare gli esami, studiare ogni sera, ecc.
Altri traslochi. Pacchi, scatoloni, fatica. Con la figlia che intanto cresce e richiede sempre più attenzioni. 

Anche quando si conquista un po' di stabilità, la figlia comincia ad andare all'asilo e si respira un po', fare la mamma a tempo pieno non è mai facile. In Italia non avere la patente (e quindi la macchina) è come non avere le gambe. E' faticoso da morire dover andare ovunque a piedi. Decidi di provarci a prendere la patente e ce la farai di sicuro.
Cercare lavoro è sempre un'impresa, non solo perché non si trova, ma perché un aiuto con la figlia non c'è mai. Non ci sono nonni, zii, altre persone che ti possano dare una mano. 
Vacanze, malattie, scioperi, la scuola non può garantire una copertura sufficiente a permettere a una mamma di trovare lavoro. E una baby sitter costerebbe più di quanto si può guadagnare, non ne vale decisamente la pena.

La lontananza dalla famiglia ha il suo peso. Otto anni ormai, senza tornare da tua madre. I costi sono diventati proibitivi, il Messico un posto sempre meno sicuro, le ferie non sono mai sufficienti a coprire un periodo abbastanza lungo da permettere questo viaggio. 

Non so, forse non ho detto nulla di particolare, o forse sì. Forse saranno in tante le donne che di sacrifici come questi ne hanno fatti. 
E' che quando qualcuno si mette a giudicare e classifica le mogli altrui come mantenute mi girano le palle. 

domenica 14 dicembre 2014

Cose che non si possono comprare. 2 - gli animaletti

Ci sono cose che non si possono comprare. Un pomeriggio con la figlia, anche quando avrei molto da studiare è una di queste.
Fa un freddo assurdo (per i miei parametri ovviamente, cioè a dicembre in Italia ci sono temperature che non vorrei mai mai vedere). Così si esce di pomeriggio presto, nelle ore più calde.
La tremendazza adora gli animali e adesso che, per Natale hanno montato le bancarelle e vendono ogni sorta di animaletto domestico, passerebbe ore a guardarli, a cercare di accarezzarli tutti.
E non se ne fa sfuggire nessuno.
Cagnolini, criceti, porcellini d'india, pesci rossi, tartarughine, camaleonti, conigli, uccellini.
Ovviamente li vorrebbe tutti.
Anche a noi piacerebbe avere un cucciolo in casa, ma ci siamo sempre trattenuti, sia per l'impegno richiesto, tanto economico quanto di tempo, sia perché i nostri continui spostamenti non sono favorevoli.
Un cane, lo vorremmo. Ma in appartamento no, mi oppongo, finché non potremo avere un giardino.
Mi piacerebbe invece una coppia di pappagallini. Come quelli piccoli nella foto (sono cocorite?) Li ha fotografati la tremendazza.
Ma ho sempre molti dubbi riguardo agli uccelli in gabbia.
Esistono uccellini che in gabbia, o comunque, in casa, stanno bene? O è comunque una sofferenza per tutti?
In che modo arrivano queste bestiole sulle bancarelle? Attraverso degli spietati metodi di cattura, sottratti al loro habitat o sono razze ormai completamente ed esclusivamente domestiche?
Quanto impegno richiedono?
Chi ha consigli da dare?


martedì 9 dicembre 2014

Un lucano

Seicentomila. Anche meno
La metà di Torino, un decimo di Roma. Questa è la popolazione della Basilicata. Probabilmente ce ne sono altrettanti emigrati.
Una regione piccola piccola, che molti non sanno neanche dov'è. E molti non sanno che è un piccolo paradiso.
Quando la nostra regione piccola e dimenticata viene mostrata in televisione, passa la voce tra i lucani "oggi su quel canale c'è un servizio sulla Basilicata". Tanto è il nostro desiderio di far sapere che esistiamo anche noi.
E quando un lucano diventa famoso ci inorgogliamo come se ne avessimo qualche merito.

L'altro ieri abbiamo perso la nostra voce.
Non l'ho saputo dai tg nazionali. La notizia mi è arrivata da Matera.

La Basilicata amava tantissimo Mango, anzi Pino, come a molti piaceva chiamarlo, come se lo conoscessero di persona. E lui amava la nostra terra e ne portava alto il nome.
Mediterraneo nomina tutto il paesaggio che ogni italiano conosce bene. Ma gli ulivi sono qualcosa di più.

Siedi qui
e getta lo sguardo giù
tra gli ulivi
l’acqua è scura quasi blu

L'ulivo ha il carattere dei lucani. Non arriva mai in alto perché non va mai dritto. Prende una direzione, poi cambia idea e gira. Ed è per questo che il suo legno è così bello e ricco di venature.
Mango ha dedicato delle belle canzoni alla Basilicata. E sono quelle che ho amato di più. Gliene sono sempre stato grato.

Nella mia città... c'è rimasto un prato
ancora un po' spelacchiato

perché noi non abbiamo pascoli verdi, ma colline brulle, sassi e un po' d'erba ogni tanto. I prati dei miei campeggi. La natura selvaggia del nostro piccolo paradiso che Mango ha celebrato tante volte.

Grazie a tutti quelli che l'hanno ricordato con delle belle parole.

domenica 7 dicembre 2014

Cose che non si possono comprare

Ormai si è capito, questo blog non ha un filo conduttore. Sconclusionato, senza né capo né coda come i miei pensieri.
Un giorno viene fuori un post pesante e tristissimo su qualche evento storico, un altro la prima cazzata che mi viene in mente per far ridere, un altro ancora potrei fare "benvenuti nella mia cucina" come la Parodi.

Così oggi si inaugura una nuova rubrica. Cosechenonsipossonocomprare.

Ci sono cose che non si possono comprare, diceva una pubblicità. 
Cose che non hanno prezzo.
Ogni tanto me ne viene in mente una.

Quella di questa sera è:

Raccontare la favola di Cappuccetto Rosso con la voce del lupo marpione che fa "Dove vai, bella bambina?" non ha prezzo. Ci sono cose che non si possono comprare...

Quali sono le vostre cose che non si possono comprare?

giovedì 4 dicembre 2014

I biscotti

Una ricetta per mille occasioni


Udite udite,
si presenta a voi la soluzione a mille problemi.
Dista da voi troppo il loco ove si vendono le migliori prelibatezze da manducare al mattino? (Traduzione: vivete all'estero e i vostri biscotti preferiti non arrivano?)
Necessitate di una diversione per i vostri pargoli in un dì di tempo funesto?
Volete gratificar qualcuno con un presente?
Disiate vendicarvi d'un torto subito?
Ecco che vi si propone il modo d'ottener tutto ciò. Non crucciatevi se la ricetta non è sufficientemente chiara durante la lettura. Essa vi verrà riproposta tradotta in forma meno ardua alla fine.

La ricetta, di mia invenzione, mi fu utile finora a diversi di questi scopi. Tranne l'ultimo, che non ho avuto ancora occasione di sperimentare, per il quale si crea un'apposita variante.

Andiamo dunque a mostrar come si realizza tale opera.
Vediamo qui tutto il necessario: ingredienti e utensili.


Se vi occorse la geniale idea di acquistar lo cioccolato in pezzettoni di grosse dimensioni, adopratevi nel ridurlo in pezzetti piccoli, di svariate forme et dimensioni.


Si comincia col romper le uova. A tale incarico si offre volontaria la Tremendazza. Chi meglio dello pargolame vostro, infatti, eccelle nella sublime arte di rompere le uova?




Indi aggiungere zucchero e sbattere energicamente, meglio se con l'ausilio di moderni elettromeccanici sbattitori.
Lasciate ogni speranza di poter già prender parte all'opera. La Tremendazza, la quale ha ormai appreso la sublime arte attraverso anni di esercizio, esigerà di essere la protagonista.



Ponete ordunque gli altri ingredienti: margarina, cioccolato, yogurth, e infine la farina e il lievito, meglio se setacciati, cosicché non producano grumi.




Qualora si renda necessario, durante la lavorazione, saggiare la consistenza nonché il sapore dell'impasto, non vi mancherà chi con dedizione caricherà su di sé tale pesante fardello.



Quando la massa sarà diventata troppo dura per le giovani braccia del vostro tenero virgulto, provvedere a completare l'opera impastando con le mani.
Giunge ora il momento di accendere il forno, acciocché sia caldo quando l'adoprerete.




Orbene, d'ora in avanti il forno sarà l'unico mestiere vostro, la Tremendazza vi esproprierà di ogni altra mansione, dallo stendere la pasta al crearne le forme.
Questa volta ella ha voluto proporre le sue creazioni. Ha deciso quindi di produrre biscotti a forma di pallina e un unico enorme biscottone. 








Così si presentano i biscotti usciti dal forno e l'opera è compiuta. 
Per li homini che a tale nobile arte si dedicano: abbiate cura di lasciar il luogo dove avete prodotto le vostre creazioni netto siccome lo avete trovato (traduzione: pulite tutto), affinché le vostre gentili signore non abbiano a rompervi lo mattarello sulla capoccia, rendendolo inutilizzabile per le volte successive (lo mattarello, ovviamente. La capoccia ha ben ragione d'un duro legno di faggio).

Per le gentili signore: se fino a questo punto avete fatto tutto da sole e non vi fu dato ausilio alcuno, rassegnatevi, non arriverà al momento di pulire.

Come promesso, da qui in poi si presenta la ricetta in lingua originale (non dimenticate, nel caso la usiate per vendicarvi d'un torto subito, di aggiunger poche gocce di un potente lassativo). Come da consuetudine si propone la dose minima (che impone l'uso di un indivisibile uovo), più facile da moltiplicare.

Sono graditi commenti e spolliciamenti!

Biscotti


Ingredienti (per circa 8/900 g di biscotti):

-        ½ Kg di Farina 00
-        150 g di Zucchero
-        200 g di Margarina
-        1 Uovo
-        3 cucchiai di Yogurth bianco non zuccherato
-        1 bustina (16 g) di lievito per dolci (tipo Pane degli Angeli)
-        80 g di cioccolato fondente

Procedimento:

Tirare fuori la margarina dal frigorifero un po’ prima di iniziare per farla ammorbidire. Se si lavora con la frusta elettrica è molto più facile incorporarla, altrimenti conviene scaldarla a bagnomaria per farla sciogliere.
In un piatto grande, tipo insalatiera, sbattere l’uovo con lo zucchero.
Aggiungere la margarina e mescolare fino a farla incorporare completamente.
In un piatto o su un tagliere tagliare il cioccolato a pezzi piccoli e metterlo nell’impasto.
Aggiungere lo yogurth e mescolare.
Aggiungere poco a poco la farina e, con l’ultima farina, il lievito. Con lo spargifarina o con un colino si riesce a evitare che si formino grumi.
Man mano che si aggiunge farina l’impasto si indurisce e diventa sempre più difficile mescolarlo con la frusta elettrica o col cucchiaio di legno e si passa a impastare con le mani.
Quando è stata aggiunta tutta la farina e l’impasto ha la giusta consistenza non si attacca alle dita.
Accendere il forno a 180° per farlo preriscaldare prima di cominciare a sagomare i biscotti.
Tirare fuori l’impasto dal recipiente e stenderlo col mattarello fino a uno spessore di circa mezzo centimetro. Con una tazzina da caffè o con una formina ritagliare i biscotti e disporli su un foglio di carta da forno, distanziandoli un po’ per permettere di lievitare. Mettere il tutto sulla leccarda del forno.
Infornare a 180° per circa 12-15 minuti. Dopo 10 minuti si può aprire il forno e controllare la cottura. 
Dato che sono necessarie più infornate, conviene utilizzare 2 fogli di carta da forno e tenere pronta l’infornata successiva mentre la precedente cuoce. Quando un’infornata è pronta, mettere la successiva sulla leccarda e lasciar raffreddare i biscotti pronti con attenzione e senza prenderli in mano perchè il cioccolato è ancora fuso e SCOTTA!





domenica 23 novembre 2014

23 Novembre 1980

Quando la Storia ti passa accanto

Matera, domenica 23 Novembre 1980, ore 19:34.
Una domenica come tante, in una tranquilla città dell'Italia meridionale, all'inizio degli anni '80.
Avevo 6 anni.
E quella sera, che io ricordi, c'erano dei parenti da noi. Erano visite frequenti allora, mia sorella aveva un anno e quando ci sono dei bambini piccoli in casa tutti vengono a vederli.
Io e mio fratello eravamo nella nostra stanza.

Ad un certo punto succede qualcosa che non capisco. E che capirò dopo.
Si esce di casa, tutti. Mi fanno entrare nella 127 della nonna.
"Che bello" pensai "si va a fare un giro in macchina".
Facciamo poche centinaia di metri, arriviamo al Pino. Un traffico incredibile. Giriamo attorno alla rotatoria e torniamo indietro.
Continuo a non capirci nulla. Ma che è successo?

E' tutto quello che ricordo di quel giorno. Mi hanno raccontato che quella notte dormimmo in roulotte. Non ricordavo nemmeno questo.
Quella sera la Storia, quella con la S maiuscola, ci era passata molto vicino. E per nostra fortuna non ci aveva toccato. Ma questa fortuna a tanti altri non è toccata.

Il Terremoto.
Non "un" terremoto, "IL" Terremoto. Il terremoto dell'80. Il terremoto dell'Irpinia. Il peggior terremoto dal dopoguerra in Italia.
6,9 gradi Richter. 2914 vittime (leggasi duemilanovecentoquattordici). Interi paesi rasi al suolo. Da quella notte 280.000 persone sono rimaste senza casa, alcune per il resto della loro vita.



Matera è abbastanza lontana dall'epicentro di questo sisma, e se l'è cavata quasi senza danni.
Quasi.
In via Roma i cornicioni caddero. Una casa a pochi passi dalla nostra crollò internamente. La vidi per anni circondata da una rete, inagibile.

A Matera ce la siamo cavata con un grande spavento.
Ma un grande spavento è dire poco.

Queste sono le immagini che mi sono passate sotto gli occhi allora. Tutte le immagini di questo post sono prese dal web.




La paura per me è cominciata allora. Dopo aver visto queste immagini. Quando ho capito cosa era successo davvero. Quando per me poteva dirsi tutto finito.
"Hanno trovato una bambina abbracciata alla nonna sotto le macerie". Disse qualche giorno dopo mio nonno. Ho immaginato quella scena e non l'ho dimenticata più.
Perché a 6 anni pensi ancora che i tuoi genitori, i tuoi nonni, possano proteggerti da tutto. E invece così scopri che anche loro possono essere impotenti.

Per la paura non potevo dormire.
- Non si possono fare le case antisismiche?
- Anche questa lo è. Non vedi che ha resistito?
- E la casa nuova che stanno costruendo?

Ma mio padre era laureato in geologia. E sapeva quel che faceva, quando scelse di comprare casa alla base della collina di Matera, invece che in alto. Nella zona più solida. E infatti in quella zona anche con i terremoti successivi, di intensità molto minore, non è successo nulla.



In questa occasione la disorganizzazione nei soccorsi rese il bilancio più grave di quello che già era. Per giorni non si capì quanto era grave la situazione e quali erano le zone più colpite, anche a causa dell'interruzione di elettricità e collegamenti telefonici. La protezione civile non c'era, nacque proprio a seguito di questo evento.

E' raro che io parli di mio padre, e rarissimo che ne parli bene. Ma questa è l'occasione per farlo. Aveva modo di dare una mano e lo fece. Possedere una macchina col gancio di traino e saper trainare le roulottes era un aiuto prezioso. E fu precisamente quanto andò a fare in quei giorni (a Muro Lucano, mi raccontano) Anche la nostra roulotte, per un piccolo periodo, ha offerto rifugio a qualcuno.

Da allora di terremoti, molto più piccoli, ne ho visti diversi. Nel 1990, a scuola, con la scena divertente della professoressa barese terrorizzata che urla "San Nicola, i figli miei" e mi manda a vedere come stanno.
Poi nel '91, e ancora altri in diverse parti d'Italia. Fino a 2 anni fa, quando hanno fatto uscire mia figlia dall'asilo e i miei zii mi hanno chiamato preoccupati.
Ora so cosa si deve fare in caso di terremoto. Già alle scuole medie, anche se non esistevano ancora le esercitazioni e i piani di evacuazione, ce lo spiegavano.
"Non correte nei corridoi, sono stretti e vi ritrovereste intrappolati". "Siete molto più al sicuro se vi mettete sotto i banchi, o sotto la cattedra, o, meglio ancora, sotto il pianoforte (perché, al conservatorio, avevamo i pianoforti in classe)".
Ora, quando c'è un terremoto, non mi preoccupo nemmeno, aspetto prima di vedere quanto è forte.

Ma la paura di quelle immagini che ho visto allora, quella no, lo sto capendo dopo tanto tempo, quella non passerà mai.

sabato 22 novembre 2014

Le stelle

Nasce la pagina Facebook



Eccola qui, nasce oggi la pagina Facebook di Lavitacominciaa40anni.


Ho aspettato un po' per crearla, volevo scegliere delle immagini che mi dessero emozione. E ho scelto il cielo stellato. Le stelle, così come mi è sempre piaciuto guardarle, e non lo faccio da un po'.

Il cielo di notte, visto dalla solitudine di un bosco, che fa chiedere a tanti, da sempre "siamo soli?"
Non lo so, ma è qualcosa che ti tocca sempre quando la solitudine l'hai avuta dentro. Quando guardando le stelle ti sei sentito in sintonia con l'universo.

A novembre l'Orsa Maggiore si fa leggermente da parte e lascia il posto a Orione e a Sirio. Sirio che ammicca continuamente, e che scopri che in realtà non è una, ma due stelle.
Il Toro e le Pleiadi che dominano il cielo d'inverno. Le Pleiadi restano sempre uno spettacolo emozionante.

E quando guardi la carta del cielo e scopri, a 16 anni, che in quel punto non ci dovrebbe essere una stella? Chissà cosa immagini. Ma no, non era un ufo, era Giove che per quell'anno aveva deciso di passare proprio in quel punto. E col telescopio lo vedi accompagnato dai quattro satelliti galileiani.

E' un'emozione che voglio regalare ai miei lettori.
Ringrazio di cuore chi ha già messo "mi piace" sulla pagina. Ora trovate, qui a destra il box facebook e, se tutto funziona, i prossimi post, a partire da questo, appariranno da soli sulla pagina.

Aggiornamento: sono riuscito a mettere anche il "mi piace" di fb (anonimo) sui singoli post!

Lasciatevi emozionare dalle stelle, è uno spettacolo che vi viene concesso ogni sera, ovunque voi siate. Un privilegio come ce ne sono pochi.

domenica 16 novembre 2014

Feudalesimo e libertà

Non prendeteli sul serio!

Felice vespro, messeri!
Ebbi ad esclamare quando finalmente si presentò la gradita occasione di incontrarli.
Costoro, che fino ad ora conoscevo solo per mezzo del MusoLiber, si sono finalmente materializzati recandosi al Lucca Manuscripti et Ludi MMXIV.

Non vi venga l'idea di prenderli sul serio, non è quant'essi disiano.
Registrati allo MusoLiber come "partito politico" con sede ad Aquisgrana, propongono di restaurare l'ordine feudale. Risolvono il problema della disoccupazione mandando tutti a lavorar la gleba dall'alba al tramonto.

Insomma, se avete occasione di consultare i loro scritti, non potrete che trarne gaudio.
Essi si recarono, alcuni giorni or sono, nella città ove ho l'onore di soggiornare, ad incontrare i poveri servi della gleba per concedere loro l'onore di divenire nobili.
V'era infatti occasione di acquistare per pochi fiorini, una patente di nobiltà, come testimoniano i dipinti che potete qui ammirare.

Stand di Feudalesimo e Libertà sulle mura di Lucca


Firma e ceralacca sulla patente di nobiltà

Lodevole iniziativa, quella di concedere ai poveri villici l'opportunità di diventar nobili.
Ciò nondimeno non aderii a tale iniziativa. Perché andare alla ricerca di un titolo acquistato quando si possiede per diritto di discendenza un titolo nobiliare autentico? (E' vero, eh!)

Mi si presentò comunque un'occasione che non tardai a cogliere. La geniale idea di riportare in auge la vendita delle indulgenze ha infatti riscosso notevole successo.


Era possibile comperare IV indulgenze:

I) Pelli peccati de Lussuria. No, dissi. Giammai ebbi a tradire la sposa mia, e giammai lo farò, per codesto peccato posso ritenermi salvo.

II) Pelli peccati de Invidia. No, non mi si addice.

III) Pelli peccati de Avarizia. Di tale indulgenza potrei abbisognare, ma non volli comperarla per alcune ragioni. 
- Prima fra tutte, un avaro non sperpera i suoi denari comperando alcunché. 
- Poscia, nell'urbe di Lucca i nativi hanno la fama di essere i peggiori tirchi della Terra, indi di codesta indulgenza necessitavano gli altri.
- Infine, abbisognavo in maggior misura dell'ultima indulgenza, quella che nomino qui di seguito.

IV) Pelli peccati de Gola.


Codesto è lo magno peccato mio (e quando dico magno, intendo magno) per il quale mi decisi a scucire dalla scarsella la somma di III euri. 
- Euri? dissi. Non erano fiorini? O ducati?
- Se preferite, messere, possiamo accettare che paghiate con III fiorini e XXX frustate.
Così mi decisi per i III euri e altrettanti minuti di gogna.


Non volli inoltre farmi mancare la casacca tanto anelata. "Il tour della peste nera". La mia sposa seppe ritrarla nei meravigliosi dipinti che vedete.




Non mancherò d'indossarla quando frate sole ci grazierà delle sue carezze.
Che opinate. Fu di vostro aggrado lo favellare mio?



Analisi logica

Ripassiamo la grammatica italiana

Esercizio: analisi logica della seguente frase:

La Tremendazza gioca col papà

La Tremendazza: soggetto
gioca: predicato verbale
col papà: ahem...

Scegliete la vostra tra queste 3 risposte.
a) Complemento di compagnia (col papà = insieme al papà)
b) Complemento di mezzo (usa il papà come mezzo per giocare, equivalente a "gioca con la palla")
c) Complemento oggetto (nel senso che il papà viene trattato come un oggetto)

Per chi ha figli: quale è il vostro caso?

domenica 9 novembre 2014

un posto al sole (seconda parte)

Il post più disordinato del blog

(...continua da qui)


ecco, come dicevo, sette a uno per le nuvolette, qui è così quasi tutto l'anno, nonostante la temperatura, tutto sommato ancora accettabile. Mi basterebbe non scendere più di così.
Ho cambiato mille volte idea sul posto dove vivere, al punto che fatico a credere a me stesso ora che credo di essermi fatto un'idea più precisa e di aver trovato un obiettivo.
Perché non solo non è facile scegliere un posto senza averlo visitato, ma ci sono sempre tanti di quei compromessi che diventa molto difficile capire cosa accettare e cosa no.

E mentre cercavo di capire dove mi sarebbe piaciuto andare, cercavo anche di capire come fare a lavorarci.
E mentre esaminavo un posto venivano sempre fuori dei difetti scoraggianti.
Ho pensato prima all'Australia, poi alla Grecia, in ordine sparso, alla Spagna, a Mauritius, all'America Latina...
stop, questo l'ho fatto davvero.
L'ho già raccontato, ho vissuto in Messico per un anno. Sono tornato e me ne pento da allora.
Ho tentato di tornarci ancora, per tanto tempo, senza riuscirci.
Perché in Messico non è difficile trovare lavoro. Il difficile è sopravvivere con quel che si guadagna.

O almeno, questa è stata la difficoltà più grossa, quella che mi ha costretto a tornare indietro.
In Messico me la sono cavata un po' insegnando italiano e, intanto, prendendo dei piccoli lavoretti di liuteria. Ma non bastava.

Certo, quando ci penso, non mi pento di averlo fatto.
Sono partito senza avere un lavoro e senza avere nemmeno idea di come fare. All'avventura, alla giornata. E me la sono cavata.

Avevo paura quando sono partito. Ho sempre avuto paura nei momenti più difficili. Ed è un bene.
Le parole "choc culturale" sono familiari ai miei lettori, che me le hanno insegnate e le vivono ogni giorno.
La sapete una cosa? Io lo choc culturale l'ho avuto passando dal sud al nord Italia. Il sud Italia e il Messico si assomigliano molto di più. E lì lo choc non c'è stato. Con le persone ci stavo bene e basta.

Purtroppo tornarci oggi a vivere non è possibile. L'insicurezza che si vive ogni giorno per colpa di una criminalità sempre più forte e di uno stato sempre più corrotto, a partire dalla polizia, rende troppo rischioso farci crescere una bambina. E poi, per la Tremendazza, abbiamo bisogno di una buona scuola. E l'istruzione messicana non gode di riconoscimenti, nemmeno ufficiali, al di fuori dei confini nazionali.

Anche il cambio di lavoro, dall'artigianato all'informatica, mi ha portato a orientarmi diversamente.
E così ho cominciato a pensare alla California.
Non tanto alla silicon valley, dove, forse, e dico forse, trovare lavoro può essere molto facile. Mi piacerebbe vivere al mare, non all'interno e la parte centrale della California non è abbastanza calda per me. San Francisco, poi, mi pare di capire che sia un frigorifero, brrrr.

Insomma, qui, a questo punto della mia ricerca, un paio di anni fa, siete arrivati voi. E il primo blog che ho incontrato (lo conoscete benissimo), che ha per autrice una santa donna (titolo conferito da mia moglie ad ogni donna che ha a che fare con me), mi ha fatto innamorare di San Diego e mi sta facendo pensare da un paio d'anni alla California meridionale come obiettivo.

Il clima sembrerebbe perfetto, ahem, forse è ora che io parli anche degli altri aspetti che cerco.

Uno è molto difficile. Vorrei trovare un posto con un buon livello di legalità e allo stesso tempo gente calorosa e accogliente. Sembrano aspetti inconciliabili, non convivono mai queste due cose nello stesso posto. O si trovano i paradisi della legalità, con gente fredda, o i paradisi dell'accoglienza, dove però l'idea di rispetto per il prossimo sembra sconosciuta.

Da quel che ho letto finora, la California sarebbe (o sembrerebbe) un paradiso della legalità e del rispetto verso il prossimo. Come forse gran parte degli USA. Invito a smentire chi ci vive o ci ha vissuto e non la pensa così, mi interessa approfondire (Silvia, è inutile che fai finta di niente, sei invitata a dire tutto il male che pensi, quando ti ricapita?)

Dal punto di vista delle possibilità di socializzare, mi importa molto di più per la figlia che per me. Ma magari su questo approfondirei nella prossima puntata. Spero di non averla fatta già troppo lunga.

Chi se la sente di dire quello che pensa? Non mi rivolgo solo a chi conosce la California, a tutti quelli che vogliono intervenire. Ogni parere è benvenuto.

lunedì 3 novembre 2014

Pezzi di vita

Cosa è successo in questi sette anni?

Raccontami, cosa è successo in questi sette anni?
- E' nata nostra figlia, ci siamo spostati da Sondrio, a Cuneo, a Lucca, ho perso e ritrovato il lavoro, un anno e mezzo di disoccupazione e riqualificazione... e voi?
- Io mi sono laureata e ho cominciato a lavorare, e per fortuna anche per lui è andata bene, siamo riusciti a trovare lavoro nella stessa città e possiamo stare insieme...

Ma questo lo sapevamo. Perché non ci siamo mai persi di vista del tutto.
Quanta emozione dà rivedersi dopo anni e non trovarsi cambiati? Vedere che è come se il tempo non fosse mai passato?

Quanti chilometri abbiamo macinato insieme col fazzolettone al collo e lo zaino in spalla? Quanto eravamo simili allora e quanto lo siamo diventati nel tempo? La simmetria di questa foto la dice lunga. 



Quando ho cominciato l'università te l'ho detto e hai indovinato al primo colpo quale istituto avevo scelto, che corso. E non è un caso. Non l'avrebbe azzeccato nessun altro.


Quando hai deciso che avresti comprato la tua prima auto ti regalai un portachiavi fatto da me. E chi se lo ricordava più? E' ancora il tuo portachiavi. Sono rimasto senza parole.


Quando mia figlia vi ha visti per la prima volta non si è intimidita per niente. Vi ha portati subito a giocare con lei, e a te, carissima, è saltata in braccio senza pensarci due volte. 

Chi vive cambiando tante volte città lascia dei pezzi di vita in ogni posto. E sa che non potrà mai metterli tutti insieme. Sa che ogni volta che si muove dovrà perdere qualcosa, che lo strappo sarà doloroso. 
Chi vive in un posto che non conosce sa quanto siano importanti le visite, che ti riempiono di gioia per tanto tempo.

Questa volta le parole mi mancano proprio, me ne rimane una sola:
Grazie.


Lucca Comics and Games

Benvenuti a Lucca


E' appena finito il Lucca Comics.
La fiera del fumetto e molto di più. Quattro giorni meravigliosi, di sana follia.
Che il Comics sta per arrivare si comincia a vedere un mese prima, quando questi tendoni incominciano a prendere forma.



Quello che invece qui non si vede è cosa succede nelle case dei ragazzi che verranno a visitarci. I cosplay.
Molti di loro iniziano a preparare i loro costumi con chissà quanto anticipo. E si presentano alla fiera vestiti (o svestiti) nei modi più assurdi per festeggiare questo evento.




I cosplay sono i veri protagonisti, l'anima della festa. Potete passeggiare per 4 giorni per la città imbattendovi nei personaggi più strani.
La dedizione con cui questi ragazzi si dedicano nel cercare di apparire simili ai loro personaggi è totale. Perché, oltre a preparare, spesso con le loro manine, dei costumi per niente facili, li indossano tutto il giorno. 

Con accessori ingombranti, scomodi

Tutto il giorno sui trampoli e con un'accetta enorme in mano
Quanto è comodo camminare dentro un cubo?


E questi costumi, che sono altri il doppio di una persona?

Questa famiglia arriva da chissà dove, con l'auto degli antenati smontata (immagino), la monta e se la trascina dietro  tutto il giorno



Altri affrontano stoicamente il freddo di novembre con veramente poco addosso. Qui un esempio che offro per la gioia delle mie lettrici, e un altro, per par condicio, per la delizia degli occhi dei lettori.
Queste foto sono scattate di giorno, ma vanno in giro così  anche tutta la sera, e non fa certamente caldo.


Abbiamo anche qualche alternativa per chi trova attraenti soggetti di questo tipo


E' veramente commovente tornare dal lavoro e trovare la figlia che mi salta in braccio e mi sussurra all'orecchio "costume"...
Ovviamente non manca la possibilità, in tutti questi stands, di trovare qualcosa di molto carino. La tremendazza, che ama Super Mario, sceglie il cappello da bowser.



Ovviamente, se per i ragazzi c'è tanto da divertirsi, per i bambini non manca nulla. Palloni su cui rimbalzare, lo stand Lucca junior in cui divertirsi con i disegni, con i laboratori e con i Lego, taaanti Lego, da guardare e da giocarci per tutto il tempo.








E mentre la tremendazza gioca coi lego e con la mamma, il papà si dirige alle fumetterie, dove ha occasione di proseguire la collezione di Topolino, che è arrivata ora ai 1200 pezzi.

Le foto non possono descrivere tutto ed ho dovuto anche limitarle molto. Ma in questi giorni qui c'è stato di tutto. Padiglione del cinema con le auto dei films 



E poi sfilate di tutti i tipi: frati sassofonisti, scozzesi, e, ovviamente, essendo halloween, la marcia degli zombie. Ah, già, è anche halloween? A Lucca passa un po' inosservato in tutto questo casino, anche se molti si vestono da zombie.

Dal palco, ogni sera, arrivano le sigle dei cartoni animati, spesso cantate dal vivo dai rispettivi interpreti.


Che ve ne pare dell'Halloween lucchese?

Si ringrazia, qui e in ogni altro post, la mogliettina, ormai fotografa ufficiale del blog. Bravissima!