mercoledì 1 novembre 2017

L'ora legale e l'ora franchista



By San Jose (talk · contribs) [<a href="http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html">GFDL</a> or <a href="http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/">CC-BY-SA-3.0</a>], <a href="https://commons.wikimedia.org/wiki/File%3AEurope_time_zones_map_en.png">via Wikimedia Commons</a>

E' finita l'ora legale. In Europa. In America, nei paesi che la adottano, finisce sabato prossimo.
Per qualcuno un sollievo, per qualcun altro un'immensa rottura di scatole per questo cambio che si fa comunque fatica ad accettare. Un male necessario, se vogliamo.
Si torna all'ora solare?
In Italia sì, e in quasi tutta l'Europa. In Spagna no, all'ora solare non si torna mai.
Qui si torna all'ora franchista.
La cartina qui sopra rappresenta i fusi orari dell'Europa. Non sono tracciati i meridiani, ma si può intuire che la posizione della Spagna è in Europa occidentale, in gran parte più a ovest della Gran Bretagna. Dovrebbe quindi adottare il fuso orario di Greenwich per indicare a chi ci vive l'esatta posizione del sole. E un tempo era così.
Nella mappa, non è un errore, la Spagna è rappresentata in blu, come l'Italia, la Germania e tutti i paesi dell'Europa Centrale. Ohibo! Che ci fa mai in un fuso orario che non è il suo?
La decisione è stata presa dal dittatore Francisco Franco. Copio da Wikipedia:

Nel 1942, su richiesta del dittatore tedesco, Franco decise di cambiare il fuso orario della Spagna, adeguandolo a quello della confinante Francia: da allora, gli iberici vanno un'ora avanti del tempo solare in inverno e due d'estate per l'ora legale.

Cosa succede dunque qui?
Che per buona parte dell'anno, soprattutto d'inverno, alle 8 di mattina è ancora buio. E che la sera la luce del giorno dura fino a tardi.
L'estate l'effetto è amplificato. Due ore di differenza tra il vostro orologio e il sole. Alle 2 del pomeriggio è in realtà mezzogiorno.
Il fenomeno è molto sentito, e tutto si è adeguato di conseguenza. Qui la giornata inizia più tardi, ci sono uffici che aprono alle 10. Si mangia più tardi, come spesso al sud Italia. Io ci sono abituato e mi trovo bene, per me è naturale pranzare alle 14 e anche dopo, qui si pranza anche alle 15 a volte.
Macché, alle 3 del pomeriggio in realtà è ancora l'una.
E si fa tardi la sera. Vuoi perché gli spagnoli sono festaioli, ma è anche perché in realtà anche il sole fa tardi con gli spagnoli.

Ora l'ora legale, per qualche mese non ci sarà, rimane solo l'ora franchista. Per me è una grande comodità, per i miei ritmi. Vado al lavoro presto, esco presto, nessuna differenza di fuso orario per chiamare in Italia.
Però comprendo che gli spagnoli si stiano leggermente scassando i maroni. Questo casino, infatti, li fa sentire sempre stanchi e le giornate lavorative sono adeguate, male. A metà giornata c'è uno stacco di 2/3 ore e si finisce di lavorare alle 8 di sera.
Alcune aziende si stanno adeguando, europeizzando, se vogliamo. Dove lavoro io la pausa pranzo è di un'ora e si esce prima (ma l'azienda è tedesca).
Di recente è stato proposto di adeguare il fuso orario alla posizione geografica del Paese. Un po' mi dispiace, mi ci trovo bene. Qui un interessante approfondimento.

Ma, verrebbe da chiedersi, come fare a passare al fuso orario corretto senza creare ulteriori scombussolamenti? Beh, niente di più semplice. Basterebbe, alla prossima ora legale, a fine marzo, non portare avanti le lancette dell'orologio e dire che siamo a posto così. Poi, fra un anno, tornare un'ora indietro come in questi giorni.

mercoledì 18 ottobre 2017

No tinc por

Questo post non è più attuale. Ma ne siamo davvero sicuri?
Avrei voluto scriverlo un bel po' di tempo fa, non ce l'ho fatta. Ce la faccio adesso, a due mesi esatti di distanza.
Il 17 agosto, 2 mesi fa, l'ennesimo attentato terroristico. Un camioncino, un fiat Talento noleggiato dall'ennesimo pazzo invasato, si mette sulla rambla di Barcellona e investe tutti quelli che trova sul suo cammino. Riuscirà ad uccidere ben 16 persone. 

Sull'accaduto si potrebbe parlare per una vita, e non ho intenzione di farlo io. 
Sul fatto che diamo tanta più importanza a quello che sentiamo più vicino, possiamo parlarne. Ieri stesso, in Somalia, un camion bomba ha fatto 300 vittime a Mogadiscio. Non 16, 300! La cosa ci scivola forse un po' addosso. Dov'è la Somalia? Da qualche parte lontano? Non ci siamo stati in vacanza, e non ci viene in mente di andarci, e allora questi 300 morti perdono importanza, come se non ci appartenessero, se non fossero nostri, se non fossero esseri umani come noi.

Quanto ci siamo abituati? Quanto siamo diventati insensibili? Quanto è giusto diventarlo, visto che chi ci fa questa guerra vuole la nostra sofferenza?
Io non ho risposte.

Barcellona ha fatto una scelta. Quella di rispondere "io non ho paura", "NO TINC POR" in catalano.
Non sono le prime parole di catalano che ho imparato, ma forse le più importanti. Possiamo dircelo, forse dobbiamo. "No tinc por, non ho paura, no tengo miedo".

Oggi Barcellona, la Catalogna, la Spagna, sono in tutt'altre faccende affaccendati. E se a Valencia a fine agosto c'erano questi cartelloni, oggi non ci sono più, e i catalani sono nuovamente visti come i soliti rompiscatole.



Questa era la rambla di Barcellona il 30 agosto. Meno di due settimane dopo gli attentati. Ho voluto andarci, ho voluto vedere la Barcellona che non ha paura, che non si arrende, che non rinuncia a vivere.






Pensavo di trovarci delle barriere anti camion. Niente! E' saggio non aver paura fino a questo punto? Chi vuole rispondere?

La rambla festeggia tutti i giorni. E non vuole smettere. Non si arrende. Non ha paura. O non la vuole mostrare, perché magari un po' di paura ce l'ha.

Plaza Catalunya. La rambla parte da Plaza Catalunya. Pochi mesi fa ho fallito un'opportunità di lavoro importante. Se ce l'avessi fatta sarei andato a lavorare in Plaza Catalunya, sarei stato lì. Sliding doors? Non lo so. Ho voluto andarci, vedere dove sarei stato. 





Ma, se fossi stato a pochi metri dall'attentato, ce l'avrei avuto il coraggio di dire "Non ho paura"?
Chi ce l'avrebbe avuto?

Oggi ci sono altre notizie più attuali, ma queste non dimentichiamole. Non facciamoci distrarre dal tempo che è passato, dalla distanza, dalle notizie più fresche che parlano di altro. La guerra non è finita. Non la vogliamo ma c'è. E le vittime sono reali. E forse far credere a chi ci prova che non ci sta spaventando, nonostante tutti abbiamo molta paura, può servire a mettere almeno un freno a tutta questa pazzia. Proviamo a dircelo ogni tanto "No tinc por" "Non ho paura"

domenica 8 ottobre 2017

1-O

Non è un uno a zero, non è il risultato di una partita di calcio. E' un modo di abbreviare una data in spagnolo. O come Octubre, ottobre. Uno O è il primo di ottobre.
Il giorno in cui si è scritta una delle pagine meno felici della storia di questo paese.

La Catalogna è una delle 17 comunità autonome della Spagna. Il Paese è diviso, allo stesso modo dell'Italia, in regioni, province e comuni. Ma le regioni si chiamano Comunidades Autonomas e hanno una maggiore autonomia rispetto alle regioni italiane, ma minore rispetto agli Stati dei paesi federali.
La Spagna è più divisa dell'Italia. L'analogia è forte, anche qui ci sono regioni i cui abitanti si sentono fortemente parte dello Stato, ed altre in cui si può parlare di un popolo diverso, con una propria lingua e una propria cultura. Anche se questi popoli condividono la loro storia con il resto della Spagna, e in alcuni casi non hanno mai avuto una vera e propria autonomia, non si sentono affatto parte dello Stato.
E uno di questi è proprio la Catalogna.

https://it.wikipedia.org/wiki/Catalogna

Quella della Catalogna è una storia che non ho seguito tantissimo, e anche l'analisi che ho fatto in poche righe qui sopra, è estremamente superficiale. Ma ho conosciuto molto bene qualche catalano, uno in particolare che, dopo un anno che abitavamo insieme, ho scoperto che conosceva anche lo spagnolo, visto che non gliene avevo mai sentito pronunciare una parola. 

In bene e in male credo che la Catalogna e la Spagna siano due paesi diversi. Non sono la persona più qualificata per spiegare quante differenze ci sono e non mi va di dilungarmici. Ma quando ho scelto di tentare di venire qui, ho fatto una distinzione tra Catalogna e "Stato spagnolo", così come lo chiamano i catalani. 
Se mi fossi arreso e avessi voluto lavorare a Barcellona sarebbe stato molto più facile. Barcellona è un polo di attrazione per tutte le imprese che si occupano di tecnologia e per me ci sarebbero state molte più possibilità, sia di occupazione che di carriera. Ma a me non andava di mettere il lavoro al centro della mia vita. Mi importava molto di più stare in un posto più caldo e più tranquillo, non tanto frenetico. Mi piace lo spagnolo, il castigliano, il catalano non tanto, e anche se una parola ogni tanto la sto imparando non mi andava di farlo per forza. Insomma, volevo stare in Spagna e non in Catalogna.

Allo stesso tempo non amo le frontiere. Nessuna. Io continuo, ingenuo come sempre, a credere che arriverà il giorno in cui al mondo ognuno potrà decidere di andare a vivere nel posto che preferisce, senza che abbia importanza stabilire in quale Paese è nato, né da quali genitori. Continuo a credere e desiderare che tutti i muri vengano buttati giù.
Ma non è un risultato che si può ottenere con la forza. Nella storia abbiamo avuto poche unioni e poche alleanze create in maniera pacifica (e dobbiamo riconoscere che l'Unione Europea resta oggi la migliore opera dell'uomo) e molto più spesso i confini sono stati creati, spostati e abbattuti con le guerre.

Una parte del popolo catalano, o se preferite, degli abitanti della Catalogna, vorrebbe più autonomia, un'altra parte vorrebbe la secessione dalla Spagna.
Mi dispiace, sarei più contento se tutti volessero stare insieme, ma è così.

E questo vale anche per tutti i popoli che non hanno un loro paese, per tutti gli abitanti di una regione che non sentono la loro terra come parte dello Stato a cui ufficialmente appartiene.
Vale per la Lombardia (che vorrei tanto veder sparire dall'Italia), per il Tibet, per il Kosovo, per la Cecenia...  e vale anche per la Catalogna.
Sento dire che i catalani si sentono prima catalani e poi (forse) spagnoli. E, mi chiedo, chi prova il contrario? Io per primo mi sento prima di tutto materano, lucano e l'Italia per me non conta nulla. Ho sempre detto "Altamura o l'Australia per me è lo stesso", nel senso che sono stato straniero in ogni altra città in cui ho vissuto. Cremona, Sondrio, Cuneo, Lucca, non sono stato meno straniero lì di come lo sono ora.
Stare insieme è meglio, ma stare insieme per forza no. Le nazioni, e le entità sovranazionali, devono essere matrimoni d'amore, non d'interesse. Se si vuole stare insieme deve essere perché davvero ci si sente parte di un unico popolo o lo si vuole diventare, non perché conviene. Altrimenti la convivenza sarà sempre problematica.

Già, ma cosa succede quando una parte di uno Stato vuole diventare autonoma? Esiste un modo di capire, di stabilire se la secessione si deve fare o no?
L'unico caso che mi viene in mente, da poter considerare come un esempio, è quello della Cecoslovacchia. Senza sparare un colpo, consensualmente, il Paese si è diviso in due. E oggi Repubblica Ceca e Slovacchia fanno entrambe parte dell'Unione Europea.
Ma in questo caso si trattava di dividere uno Stato a metà, quindi con consenso della gran parte della popolazione.

Il governo catalano ha indetto un referendum. Per il primo ottobre scorso. Senza il consenso dello Stato, senza l'autorizzazione di nessuno. Ed è stato considerato un referendum illegale. E, di conseguenza, Rajoy, il capo del governo, ha imposto un'azione di polizia volta a impedire lo svolgimento del referendum. Le schede sono state sequestrate, è stato impedito l'accesso alle scuole dove si dovevano svolgere le votazioni, molti sindaci sono stati arrestati.

Illegale? Un referendum? Può mai un referendum essere illegale? Una consultazione del popolo, per sapere qual è la volontà della maggioranza, può mai essere proibito?

Io dico, con forza, NO, non si può mai proibire un referendum. MAI

Non si può proibire il voto. Non è legittimo impedire ai cittadini di esprimere la loro opinione. E il referendum è lo strumento di democrazia per eccellenza.
Certo, un conto è poter esprimere la propria volontà, un altro è pretendere che questa diventi legge. Questa sarebbe stata l'illegalità.
Il governo centrale aveva altri strumenti per poter intervenire legalmente.

1. Non permettere l'utilizzo di strutture e fondi statali per lo svolgimento della consultazione. Se volete una votazione dovete pagarla. In Italia ho visto le primarie del PD, così come il referendum secessionista del Veneto del 2014 svolgersi in questo modo.

2. Non dare valore legale al risultato della consultazione. Ma, mi chiedo, ve lo ricordate o no il referendum sulla secessione del Veneto? E' stato fatto nel 2014, mica un secolo fa. Giusto per rinfrescare la memoria di come ha agito l'Italia in quell'occasione, il primo link che ho trovato:

http://www.ilgazzettino.it/nordest/primopiano/referendum_autonomia_veneto_bocciato_corte_costituzionale-1111349.html

In quell'occasione, il referendum si è svolto e non ha avuto nessun effetto, nonostante una larga maggioranza a favore.
Non trovo nemmeno che si possa ignorare del tutto il risultato di una consultazione. I catalani non avrebbero comunque il diritto di proclamare l'indipendenza unilateralmente, di dettare le condizioni. Un risultato favorevole avrebbe potuto essere solo l'inizio di una trattativa, la base per poter dire a Rajoy: "ah, bello, ci sono 5 milioni di cittadini che se ne vogliono andare, contrattiamo".
Il referendum era importantissimo, sarebbe servito a dare dei dati ufficiali su cui basare le azioni politiche successive, tanto da parte di Madrid, quanto di Barcellona.

Rajoy ha fatto l'unica cosa sbagliata che poteva fare: impedire il voto.

E a quel punto ci si è messo anche il presidente catalano, Puigdemont, così come molti catalani, a fare tante di quelle cose sbagliate, da passare dalla parte del torto.

La prima è stata quella di tentare a tutti i costi di far votare i cittadini. Il risultato è stato quello che conosciamo tutti: scontri tra polizia e gente comune e tanti feriti.
Il referendum, fatto così, non ha più alcuna attendibilità. Per prima cosa perché sono andate a votare solo le persone che se la sentivano di affrontare la polizia, ma soprattutto perché si è votato ovunque, spesso per strada, senza le schede ufficiali, che erano state sequestrate, senza gli strumenti giusti per controllare la legittimità del voto. C'è stato chi ha votato quattro volte, ci sono state urne che sono arrivate già piene all'inizio della votazione, o almeno questo è quanto sostengono da Madrid.
Non abbiamo dati, ma è colpa di Rajoy se non li abbiamo. Se non avesse tentato di impedire la votazione questa avrebbe potuto svolgersi in maniera ordinata. Questa consultazione, per me è come se non si fosse svolta affatto.

La colpa è di Rajoy, ha tentato di tappare la bocca ai cittadini, e dovrebbe pagare penalmente per questo.

Ancora: Puigdemont pretende non solo di ritenere valido il voto, ma anche di dichiarare unilateralmente l'indipendenza della Catalogna sulla base di questo risultato. Eh, no, caro Puigdemont, le condizioni non le detti tu! Il tuo potere finisce con lo svolgimento del referendum.
Se e in che modo tener conto del risultato, non lo puoi decidere da solo.
Secondo me non basta questo referendum. Ce ne vorrebbe uno che coinvolgesse tutti i cittadini spagnoli, che decidano se mantenere uno Stato unitario, o trasformarsi in uno Stato federale, costituito probabilmente, da 4 paesi: Catalogna, Paesi Baschi, Galizia e resto dello Stato Spagnolo. Questa potrebbe essere una strada percorribile, e coinvolgere tutti.

Un altra cosa grave, fatta da molti cittadini catalani, è stata quella di fare le vittime a tutti i costi. Molti hanno portato con sé i bambini e se ne sono fatti scudo. Tanti altri hanno accusato di violenze non realmente avvenute.

E intanto cosa succede qui? Cosa ne dicono? 
Io non ne parlo con le persone con cui lavoro. Sono appena arrivato, voglio inserirmi, trovare un buon ambiente, crearmi delle relazioni, e parlare di questi argomenti è una pessima idea, rischierei di farmi subito isolare. Sto ascoltando i discorsi di alcuni colleghi, che ridono di quelli che hanno fatto le vittime "mi hanno toccato le tette e spezzato le dita, e non era vero niente", e simili.
Mi viene voglia di chiederlo "ma secondo voi non facevano meglio a farli votare? Tutti dicono che gli indipendentisti sono quattro gatti, perché non avete voluto dimostrarlo che sono così pochi?"
Poi mi mordo la lingua, mi trattengo. Sono qui da troppo poco, sto appena creandomi timidamente le prime relazioni, questi discorsi dividono anche gli amici di lunga data, meglio di no.
Intanto le bandiere spagnole sono spuntate come funghi sui balconi (vabbè, l'altra sera c'è stata pure la partita).



La Comunità Valenciana non ha velleità indipendentiste. Esiste anche una seconda lingua ufficiale, il valenciano, che mi dicono sia molto simile al catalano (bisogna conoscerle bene per capirlo, ma mi sembra di sì). Questa lingua si vede sui cartelli stradali e si sente negli annunci della metro, e a scuola si deve studiare, ma mi è capitato pochissimo di sentirla parlare, a differenza del catalano a Barcellona.

Non è affatto scontato che gli indipendentisti siano la maggioranza. Non do nessun valore al referendum farlocco, non è attendibile, e mi sarebbe piaciuto avere i dati giusti. Molti vogliono una maggiore autonomia, soprattutto fiscale, non uno Stato indipendente.

Il re, molto vigliaccamente, ha taciuto per una settimana, e ora finalmente ha fatto un discorso, prendendo le parti di Rajoy e dicendo che il governo deve fare tutto per mantenere l'ordine e il rispetto della costituzione. Ok, il re deve difendere la costituzione attuale e lo status quo, il suo mestiere è quello.

Dal punto di vista economico, il peggio sta già avvenendo. Le banche e le grosse aziende stanno abbandonando Barcellona. Il banco Sabadell, dopo aver perso UN MILIARDO di euro per questa storia, ha deciso di spostarsi ad Alicante, qui in Comunità Valenciana. Lo stesso la Caixa, che verrà qui a Valencia. Per loro è rischioso. A Barcellona potrebbero trovarsi da un momento all'altro fuori dall'euro, con una nuova moneta che potrebbe anche svalutarsi molto appena creata. E soprattutto perderebbero l'ombrello del fondo europeo di garanzia dei depositi, che è vitale per le banche.
Io, che per le banche ci lavoro, non posso che dare il benvenuto qui a Valencia ai nostri potenziali nuovi datori di lavoro. Ma anche l'azienda per cui lavoro ha due sedi (su 6 spagnole) in Catalogna, e una delle due è la sede principale.

Staremo a vedere cosa succede nei prossimi giorni

lunedì 25 settembre 2017

Il nuovo mondo

Sì, lo so
sto scrivendo questo post con circa un mese di ritardo. E' stato un periodo intensissimo, senza un momento di riposo. E allora, che fare? Saltare tutto quello che è successo ora e arrivare alle notizie fresche o tentare di fare una corsa e recuperare, almeno per sommi capi, quanto è successo in questo periodo?
Ho scelto la seconda. Non mi andava di saltare tutto. Cercherò di riassumere tutto quello che è successo a partire dalla fine di Agosto.

1. Le valigie
Ryanair. Benedetta e maledetta mille volte. Compro una vocale. Anzi una valigia. O magari due? No, due non ce la faccio poi a portarle. Vorrei metterci dentro anche i miei adorati barattoli di salsa e pelati, fatti con tanto sudore della fronte. Ci provo. Pesa la valigia, supera il peso, togli, prova, ripesa, metti questo, togli l'altro, pesa ancora...
CRACK!
No, non era la valigia che si è rotta. Era la schiena.
Non ha fatto crack per davvero, ma qualcosa è successo.
E ora che faccio? Provo a passare dal medico la mattina dopo. E' eccezionale, con due manovre mi mette a posto qualunque problema. Nulla da fare, non basta nemmeno arrivare un'ora prima. Ci sono già 4 persone in fila, il tempo scorre, devo prendere l'aereo e non ce la farò. Mi faccio tutto il viaggio e i giorni successivi con il mal di schiena e dei cerotti. Pastiglie contro questi dolori e in qualche giorno passa tutto, per fortuna.

2. I documenti
Quando si parla di espatrio i documenti sono la prima cosa. Se volete andare negli USA sapete che è molto difficile ottenere un permesso di lavoro (io ci ho rinunciato), se si scelgono altri paesi bisogna partire dall'Italia già col visto per lavoro. Comunque bisogna occuparsi della burocrazia necessaria per essere autorizzati a lavorare, di qualunque paese si tratti.
In Spagna, per i cittadini comunitari, non ci vuole un permesso di lavoro. Non ci vuole nemmeno un permesso per risiedere, e si può anche fare a meno di possedere il passaporto, la carta d'identità è sufficiente.
Esiste un'unica formalità da espletare: il NIE. La sigla NIE significa Numero de Identidad de Extranjero. E' un codice identificativo unico per ogni persona, il corrispondente del codice fiscale.
Per richiederlo bisogna prendere un appuntamento (si può prendere anche online) presso una oficina de extranjerìa e presentare alcuni documenti, tra cui carta d'identità, foto tessera...

Vi dirò la verità: non riesco ad essere preciso. Se n'è occupata l'azienda che mi ha assunto. E vi assicuro, essere accolti in questo modo, avere un'azienda che si occupa di questa burocrazia al mio posto è davvero commovente. Con largo anticipo mi hanno chiesto la scansione di alcuni documenti (carta d'identità, stato di famiglia, laurea con apostille, foto tessera...) e poi hanno preso l'appuntamento per me. Sono arrivato all'ufficio accompagnato da un rappresentante dell'azienda e in pochi minuti ne sono uscito col mio NIE, saltellando felice e contento. Il mio numero è stato stampato su un foglio di carta semplice, ma questo è provvisorio.

Il NIE serve per tutto: per lavorare, per aprire un conto in banca, per affittare una casa...
Il passo successivo, quando si trova casa, è empadronarse, cioè passare dall'ufficio comunale per diventare residenti.
Con la residenza (empadronamiento) si passa poi di nuovo dall'ufficio di extranjerìa per chiedere il tesserino definitivo che riporta il NIE (il numero non cambia), e si va anche a scegliere il medico di base (medico de cabecera).
Tutti questi passi non li ho ancora fatti, ci sarà modo di descriverli in dettaglio.

3. Il viaggio
Quanto questo si possa considerare un vero e proprio espatrio non lo so. E questa frase la ripeterò spesso.
Rispetto a quando coprivo la distanza Matera - Cremona in 14 ore con 3 / 4 treni, senza nemmeno un posto a sedere e con un costo di 50 / 70.000 lire (che erano all'epoca un esborso non indifferente) questo viaggio è letteralmente una passeggiata.
Il viaggio per Valencia è normalmente molto semplice:
- da casa, a Lucca, in 10 minuti a piedi si raggiunge il terminal degli autobus
- l'autobus arriva all'aeroporto di Pisa
- volo diretto Pisa - Valencia. Ryanair. Low cost, low quality, meno di due ore di viaggio. La tratta, finora, non è stata interessata dalle cancellazioni.
- all'aeroporto di Valencia arrivano due delle 9 linee di metropolitana che servono la città e che raggiungono poi diversi punti di Valencia e molti paesi nei dintorni.



Questa volta però il viaggio è stato diverso. L'azienda ha preso appuntamento per il NIE nella città dove ha la sua sede principale, poco fuori Barcellona. E per Barcellona non ci sono voli diretti da Pisa. Quindi ho preso un volo Pisa-Girona e poi un autobus Girona-Barcellona. Dopo qualche giorno il trasferimento a Valencia in treno.
Ecco l'itinerario completo. In blu i percorsi in autobus, in rosso l'aereo, in nero il treno.



Un volo perfetto. Girona è veramente un piccolo aeroporto.
Girona, come Barcellona è in Catalogna, e qui la lingua ufficiale è il catalano, si vede subito, a scanso di equivoci, ogni cosa è scritta prima in catalano e poi, forse, anche in castigliano.




Prendo i bagagli e vado in bagno. Quando esco lo scalo è completamente deserto



L'autobus per Barcellona aspetta fuori, in coincidenza con l'aereo, e mi porta nella capitale catalana.
E' la prima volta che vado a Barcellona. La città mi accoglie con tutta la sua bellezza







Il tempo per fare il turista è un po' poco, ma mi concedo un piccolo giro. Quello che mi importa di più è essere riuscito a incontrare una persona che ci tenevo tanto a vedere. Ho provato anche a fare una sorpresa ad un caro amico, ma, niente, non l'ho trovato, che peccato! Ci sarà un'altra occasione.


L'avventura è cominciata!

mercoledì 30 agosto 2017

Il tramonto



Quella che vedete non è una foto presa a caso dal web, ma un'opera d'arte della mia mogliettina, che è riuscita a riprendere in maniera eccezionale il tramonto a Torre del Lago.
Ci sono tanti post che avrei voluto scrivere in questi giorni, ma non ho avuto davvero un attimo di respiro, cercherò ora di recuperare un po'.
Non vedrete le impressioni a caldo del momento, ma non mi andava di saltare del tutto dei momenti così importanti.
Il momento della partenza è arrivato. Ma prima dovevano concludersi un paio di cose.
Quando ho ricevuto l'offerta dall'azienda presso cui comincerò a lavorare tra qualche giorno, ho pensato subito che avrei dovuto fare il possibile per passare questa estate in Italia e ritardare l'assunzione fino a settembre.

Perché intanto la Tremendazza ha compiuto ben OTTO anni. Otto, mica noccioline!
Forse la mia figlioletta non l'avevo vista mai così emozionata. Insieme a una quindicina di diavoletti a saltare per ore di fila sui castelli gonfiabili, nella piscina di palline di plastica, sul tappeto elastico. Non ho ancora capito dove questi monelli tirano fuori tanta energia.
Il microscopio. Il regalo di compleanno desiderato era il microscopio. Si è improvvisata scienziata ed ha concesso alla sua mamma di farle da assistente, ma ovviamente il capo è lei.
Otto anni. Sei cresciuta tantissimo, figlia mia. Ormai, alta quasi come la mamma, stai diventando forte, meno vulnerabile.
Non sei più una bambina indifesa, sei quasi una signorina, che si sa affermare, che sa esprimersi, che sa dire quello che vuole e quello che non le sta bene.
"Guarda come si comportano male i turisti, calpestano l'erba anche dove è vietato"
"Anche noi siamo turisti, ma non facciamo le stesse cose"
Questa è di oggi. E ne sono orgoglioso. Tanto. Gonfio d'orgoglio per una figlia che non ama le mezze misure, che riconosce ciò che è sbagliato, che sa che non ci si deve piegare ad accettarlo. Otto anni.

Sei anni, invece, era l'età che avevo in questa azienda. Sei anni burrascosi, di alti e bassi, di tante lotte. Anche questo doveva concludersi.
Firenze è stata una tappa importante, tante persone che mi hanno fatto crescere. Alcune le ho salutate con un sorriso e un abbraccio, altre non le ho salutate affatto, contento di non vederle più.
E poi Viareggio.
Non potevo non ripassare da Viareggio per chiudere definitivamente il cerchio. Ultimi documenti da consegnare, ultimi saluti, per i capi, per i colleghi, e per le carissime bariste.

E ultimo giorno di mare per la famiglia.
Viareggio - Torre del lago, una manciata di chilometri.
La spiaggia, solitamente sporca all'inverosimile, ci regala una sorpresa. Dei cartelli "abbiamo pulito anche per te, la prossima volta fallo anche tu". Non durerà, ma per la prima volta vedo questa spiaggia pulita.




Non so come è stato possibile. Ho immaginato per anni di andarmene via sbattendo la porta e non l'ho fatto.
Niente rabbia, niente vendette da prendere. Quelle sono arrivate da sole poco tempo prima, e sono state gustate.
Ora invece, ho chiuso tutto con serenità ed ho solo il bello da portare con me.
Domani sorgerà di nuovo il sole. Ma questo giorno doveva tramontare. E il tramonto è stato bellissimo.

domenica 27 agosto 2017

L'Apostille e i documenti all'estero

Una domanda che si sarà posto chi vuole trasferirsi all'estero, che si tratti di un periodo per studio, o che voglia rimanerci è: "come funziona con i documenti?"
Cioè, ogni paese ha i suoi, io vengo dall'Italia con il mio certificato di nascita, il mio titolo di studio, che sono diversi da quelli del Paese dove vado. Come farò per farli riconoscere?
La risposta è: dipende. Dal documento che vuoi utilizzare, dal Paese dove vai, dall'uso che devi farne, ecc.
Di solito viene richiesta la traduzione dei documenti presso un traduttore ufficiale, nel Paese di destinazione. E poi l'Apostille.
L'Apostille è un timbro che viene messo in Prefettura (in Italia) e che serve per legalizzare i documenti per l'estero in base ad una convenzione internazionale.

Vediamo come si ottiene questo timbro e dove si mette.
Prendiamo il caso dei documenti che vi può rilasciare normalmente il municipio. Ah, già, in Italia non siamo più abituati ad andare in comune a richiedere un certificato di nascita, di residenza, ecc. Si può autocertificare tutto, perfino la propria morte. L'autocertificazione è diventata la normalità e quando si vuole un certificato si può fare e si pagano ben 16 euro di marca da bollo, mica noccioline!
Pazienza, se all'estero vogliono un certificato, ci vuole quello.
A me finora sono serviti un paio di documenti. Uno è l'atto di nascita. Non il certificato che vi rilascia il comune di residenza, l'atto che vi può rilasciare solo il comune di nascita. E se siete nati lontani da dove vivete vi tocca un viaggetto, o dovrete contattare il municipio corrispondente. Una buona notizia: potrete avere questo atto già in formato multilingue, evitando (forse) di dover richiedere la traduzione in seguito.

Unica precauzione necessaria sarà quella di avvisare il municipio che si vuole richiedere l'Apostille. Il documento, infatti, dovrà essere firmato da qualcuno che ha una firma depositata in prefettura.
Passo successivo: portare nella prefettura della stessa città l'atto da autenticare. Questo timbro viene apposto (attenzione: questo è l'unico significato corretto della parola "Apposto") immediatamente e gratuitamente sul retro del documento. Se, come è successo a me, anche il retro del documento non ha uno spazio bianco, viene aggiunto un foglio.




Il documento viene numerato e in prefettura viene registrato, in modo che, quando lo stato estero vorrà verificarne l'autenticità, potrà contattare l'Italia, fornendo questo numero. Ovviamente anche l'Italia riceverà, quando richiesto, documenti dall'estero con questa legalizzazione e potrà controllarne la validità.
Avere un atto di nascita con questo timbro è utilissimo per chi vuole poter andare all'estero (a me è servito per sposarmi) e, se possibile, conviene consegnarne sempre una copia e tenersi l'originale.
Si può avere l'Apostille, se serve, sui documenti di stato civile (Nascita, stato di famiglia, residenza...) e anche sui titoli di studio.
Sul diploma? Sulla laurea? Ebbene sì!
E adesso? Come si fa?
Sono andato a Torino in una bella giornata d'autunno di 2 anni fa per la consegna della mia laurea. Mi hanno dato una bellissima pergamena che ho incorniciato e che non vorrei mai sciupare con un timbro. E poi, firma depositata in prefettura? Ce l'aveva il rettore la firma depositata? E devo tornare a Torino per l'Apostille?
No, niente paura. Dovrete solo sfilare la vostra pergamena dal quadretto e portarla in copisteria per farne fare una copia (se avete una fotocopiatrice abbastanza grande in casa, buon per voi). Una volta fatto questo, recatevi nel municipio della vostra città con l'originale, la copia e una marca da bollo da 16 euro (sì, sempre quella) e fate autenticare la fotocopia da un impiegato che abbia la firma depositata in prefettura ("io, io ho la firma internazionale!" mi dice gentilmente la signora che mi ha fatto l'autentica in comune). Poi, andate in comune, dove un sonnecchiante impiegato appoggerà la copia autenticata su un supporto di gomma e, con tutte le forze di cui dispone, sbatterà questo timbro enorme sul foglio. Compilerà poi tutti i campi e lo registrerà.

P. S. La prima volta che ho tentato di far apporre l'apostille al mio diploma di maturità, l'impiegato si è rifiutato, convinto questo timbro che si mettesse solo sui documenti di stato civile, e mi ha messo un altro timbro, che all'estero è stato inutile (per fortuna non mi serviva).
Sono tornato dal Messico un paio di anni dopo e sono ripassato, dicendo che con quel timbro che mi aveva messo non ci potevo far nulla.
"E allora cosa richiedono?" mi dice.
"L'Apostille".
e questa volta me l'ha fatta senza battere ciglio.

mercoledì 16 agosto 2017

No vax, free vax, ma vaff...



Lo confesso, anche io una volta ero un no vax.
Una volta, tanti anni fa, più o meno quando avevo 6 anni e le punture toccavano a me. E io sono un fifonissimo. Ma allora mi difendeva solo Pippo Franco. Chi non ha mai sentito questa canzone può andare ad ascoltarla adesso, è un bel successo della mia infanzia.
Vabbé, però poi, purtroppo, si cresce. Fifonissimo ci sono rimasto lo stesso, eh, se vedo un ago mi giro dall'altra parte. Ma questa puntura serve davvero? Fa bene come dicono?

Io non lo so, ma credo di sì. Ed è anche giusto dire "non lo so". Fare un passo indietro di fronte a quelle che non sono le nostre competenze.
E' la moda fare i tuttologi, studiare su google e all'università della vita e sentirsi competenti e bravi in tutto. Credere di avere autorità, di poter trattare le scienze come qualcosa di democratico, in cui ogni parere ha lo stesso valore. Ebbene no, non è così.
Io con i medici ho sempre avuto fiducia ed obbedienza cieca. Cieca, ripeto, cieca. E ritengo che debba essere così. Io non ne capisco nulla, il medico è preparato, punto. Il discorso finisce lì, quello che penso io non vale nulla perché è lui quello che ha studiato. E non ho mai messo in discussione, dicasi mai, l'operato di un medico.
D'accordo, può capitare che un medico sbagli, può succedere di non riuscire a risolvere un problema. Ma in quel caso la soluzione è rivolgersi a un altro medico, non fare gli autodidatti.

I vaccini sono una cosa importante, seria. Non li abbiamo avuti sempre a disposizione. Non ce n'erano molti quando ero piccolo, così ho beccato tutte, TUTTE le malattie esantematiche entro i 2 anni di età. Ho completato l'album.
E qualcuno mi dirà "e sei qui a raccontarlo". E si becca il primo vaffanculo. Da quello che mi raccontano, ho avuto il morbillo a 8 mesi, e la mia crescita è rimasta bloccata per un anno. Ero troppo piccolo per ricordarlo, quello che invece ricordo bene è che sono cresciuto sempre dopo gli altri. Più piccolo, più mingherlino, a 10 anni pesavo venti chili. Ma a me è andata molto bene, perché di morbillo si muore.

Non tutti possono vaccinarsi. E non tutti sanno di non potersi vaccinare.
Chi non lo sa rischia di essere danneggiato dal vaccino, e qualche volta succede. No, non venitemi a parlare di autismo, è una cazzata grossa come una casa. Mi pare che sia stata smentita abbastanza chiaramente la relazione tra vaccini e autismo. Secondo vaffanculo a chi sostiene ancora che i vaccini possano provocare l'autismo.
I danni, purtroppo, possono esserci, ma i ricercatori lavorano duro perché siano sempre più limitati, perché non tocchi più a nessuno. E, se vogliamo parlare di persone danneggiate da vaccino dobbiamo comunque considerare i danni gravi e permanenti, non la febbre che può capitare e durare un paio di giorni. E mi risulta che le persone danneggiate da vaccino siano una frazione infinitesima di quelle danneggiate per non aver fatto la puntura. 631 danneggiati da vaccino riconosciuti dal 2001 al 2015, cioè in 15 anni, contro i 726 casi di solo morbillo in un anno, nel 2016. E, ovviamente, se permettiamo alla ricerca di andare avanti, faremo in modo che i vaccini vengano migliorati e che anche questi 631 casi debbano rimanere un brutto ricordo.
Leggo spesso questi commenti di gente che ha paura dei vaccini perché "contengono metalli pesanti", "perché 12 vaccini sono troppi" e stronzate del genere. Ma, se avete dubbi, perché non andate a farveli chiarire dai medici, invece di cercare su google quello che scrive il primo imbecille in rete? Finora non ho mai sentito nessuno di questi famosi "no vax" dire frasi come "il mio medico mi ha messo in guardia contro questi rischi". Perché questi imbecilli non hanno l'umiltà di rivolgersi alle uniche persone il cui parere conta: i dottori, laureati in medicina e chirurgia.

Ci sono poi quelli che non possono vaccinarsi e lo sanno. Gli immunodepressi. Per loro esiste solo una salvezza. Si chiama immunità di gregge. Quando almeno il 95% della popolazione è coperta da vaccinazione, il restante 5% ha un rischio molto basso di contrarre la malattia perché è difficile che entri in contatto con soggetti ammalati. Per queste persone evitare il contagio è vitale, proprio perché hanno un sistema immunitario debole, se prendono la malattia rischiano più degli altri.

Poi si è creata un'altra frangia di complottari: i "free-vax". Quelli che lamentano la scarsa informazione da parte del ministero della salute riguardo ai rischi e al contenuto dei prodotti che vengono somministrati.
Sono ovviamente favorevole al dare, a chiunque lo chieda, tutte le informazioni di cui ha bisogno. Ogni tanto leggo "sul bugiardino del tal vaccino c'è scritto questo". Ma, scusate, di cosa state parlando? Quando andate a vaccinarvi, o portate vostro figlio alle asl, vi danno un foglietto da leggere? A me non l'hanno mai dato, l'infermiera è lì con la siringa pronta e zac, e avanti il prossimo, che non abbiamo tutta la mattina. Non che abbia nulla contro l'informazione, ma non è mica quello il momento di farla, l'informazione va fatta prima. Perché non andate dal vostro medico di famiglia, che vi riceve una mezz'ora seduti e vi spiega tutto quello che volete sapere? Io non l'ho fatto, non ritengo di dover mettere in discussione quello che fior di medici e ricercatori hanno stabilito. I vaccini vanno fatti, mi fido ciecamente, arriva la convocazione, e si va lì a far punzecchiare la figlioletta.

E ancora, le parole che mi stanno facendo vomitare, in questo contesto sono "libera scelta". No, libera scelta un par di palle. Come dice il proverbio, la libertà di un individuo finisce dove comincia quella degli altri.
Prima di tutto chi nega ai propri figli la protezione necessaria da malattie pericolose non è degno di fare il genitore. Mi sono arrabbiato moltissimo quando, dal decreto che ha reso obbligatori alcuni vaccini, è stata eliminata la sanzione che prevedeva la perdita della patria potestà per chi contravviene all'obbligo. Anche io avevo pensato a questa sanzione. Non vuoi vaccinare tuo figlio? Gli fai un danno incalcolabile, come se lo massacrassi di botte ogni giorno. Sì a questa sanzione, sì alla perdita della patria potestà per chi non vaccina i figli.
E oltre a fare del male ai propri figli, si fa del male ai figli degli altri, che non possono vaccinarsi. E questo è imperdonabile. Non basta escludere chi non è vaccinato, o comunque immunizzato, bambini e adulti, dalle scuole. Va isolato del tutto. Quarantene, ghetti e lazzaretti sono l'unica via per escludere dalla società gli untori.

Non si può parlare di libera scelta sui vaccini. Sarebbe come parlare di libera scelta di guidare ubriachi. Se vuoi ammazzarti, non ammazzare gli altri.

Da oggi, nella colonna di destra, troverete questa immagine con la scritta "questo blog è favorevole all'obbligo dei vaccini".

I no-vax sono invitati ad abbandonare questo blog. Qualunque loro commento sarà cancellato, non devono avere diritto di parola.