domenica 16 agosto 2015

Il rimbalzo - la seconda scelta

Eccoci arrivati all'ultimo capitolo di questa lunga serie di post. Spero di non avervi annoiati.
Vi ho raccontato di come ho fatto tutte le scelte che mi hanno portato fin qui, e spesso, di quanto le ho pagate.
Scegliere di vivere "fuori dagli schemi", di non accettare il percorso che gli altri (i genitori, la società, chiunque) vogliono importi non è sempre la cosa giusta da fare.
Bisogna saperlo fare, crearsi delle valide alternative. Se crescere "inquadrati" come si fa ancora oggi in Italia, come vi ho raccontato qui, non ci piace, si può fare diversamente. Ma si paga.

Ed io ho scelto di cercare di fare un lavoro di nicchia come quello del liutaio. Sono affascinanti tutte le storie di successo, ma, dovremmo ricordarcelo più spesso, per ogni persona che ce la fa, ce ne sono tante che perdono la loro sfida, e spesso non lo raccontano. Nel post fiume di qualche giorno fa vi ho scritto di come ho perso. Ora vi racconterò di come ho ricominciato da zero.

 Per una decina d'anni ho lavorato senza avere un posto fisso. Si potrebbe dire come un lavoratore autonomo. Ho preso il lavoro che mi arrivava, ho cercato di farne diventare qualcosa di stabile e redditizio. Ed ho goduto di una libertà immensa. La libertà di non avere la sveglia ogni mattina, di scegliere quando lavorare, se di giorno o di notte, di lunedì o di domenica. La libertà di passare anche tutto l'inverno in Messico.
Ed ho pagato questa libertà, l'ho pagata tutto il suo prezzo. Per anni abbiamo dovuto aspettare per avere figli, perché questa mancanza di stabilità non ci permetteva di poter dare sicurezza a un bambino. Abbiamo vissuto un paio d'anni in un garage. Chiamatelo, se preferite "monolocale a piano terra", "tavernetta". La sostanza non cambia, quello potevamo permetterci, abbiamo trasformato un garage (che però aveva una porta a vetri invece di una saracinesca) in un monolocale, dipingendolo, realizzando un paio di mobiletti, attrezzandolo.
Non che non volessi fare diversamente, che non cercassi di migliorare questa situazione. Matera, dal punto di vista lavorativo, non ha mai offerto nulla. Chi ci abita oggi lavora nel settore pubblico (ormai blindato, inaccessibile) e nel turismo (che però dà molto meno lavoro di quel che si può pensare).

Ho imparato, in Messico, a vivere alla giornata. Ad affrontare i problemi quando arrivano, ad essere anche incosciente, a volte. Quando il lavoro ha cominciato a diminuire non me ne sono preoccupato, seriamente, finché non è finito del tutto.
Solo allora ho preso in mano seriamente il problema. Per la prima volta, a 33 anni, ho cominciato a cercare lavoro. E, fortunatamente l'ho trovato quasi subito.
In Valtellina, in un laboratorio di organaria.
Non mi piaceva l'idea di andarci, già al telefono e poi durante il colloquio di lavoro il capo si era dimostrato un imbecille. Un bigotto, uno di quelli che pensano di insegnare a tutti come si sta al mondo. E aveva trasformato l'azienda in un lager. Tutti i giorni arrivava quando voleva e cominciava a urlare, a torto, con chi capitava. L'azienda, perfetta per chi la vedeva dall'esterno, era in realtà uno sfascio, perché lui non faceva la sua parte e rendeva vano ogni sforzo da parte di noi operai.
Non mi voglio dilungare su questa azienda e su questo essere viscido perché non merita nemmeno tutta questa considerazione. Ce l'ho fatta a rivalermi denunciandolo quando ha tardato a pagare il TFR, di pochi giorni.

Va da sé che il periodo è stato molto difficile. Ma, rispetto ad anni prima, c'era con me mia moglie, che con tanto amore mi ha aiutato a superarlo. Ha condiviso con me ogni sacrificio, ogni passo di questa crescita.
I primi giorni, quando sono arrivato, ero disperato per questa situazione. Lei, che stava vivendo tutto questo con me, non si perdeva d'animo. Mi regalò questo portachiavi.


E non si perse d'animo. Lei ha sempre saputo cogliere il meglio, ha apprezzato la bellezza della Valtellina, ha trovato, per un po', un lavoro anche lei (fino alla gravidanza, lavorare facendo le pulizie incinta era troppo rischioso), ed ha aiutato anche me a non abbattermi. Mi diceva "è la ruota della fortuna, qualche volta si sta sopra, altre sotto, ora siamo sotto".
L'ho detto qualche volta che ho sposato una grande donna?

Quando ho trovato lavoro non avevamo nemmeno i soldi per aprire una nuova casa. Abbiamo chiesto e ottenuto tutto l'aiuto possibile.
Il giorno prima di ricevere il primo stipendio eravamo rimasti con un solo euro e, nel frigo, giusto quello che serviva per mangiare quel giorno, non di più.
Fu allora che promisi a me stesso che non mi sarei messo più in questa situazione, che avrei cercato di "venire fuori da questo casino". Era quella la frase che mi ripetevo "devo venire fuori da questo casino".

Cercare di andare via facendo ancora l'artigiano, o l'operaio, non andava bene, e meno ancora con un lavoro di nicchia. Dovevo trovare un lavoro più comune, preferibilmente di ufficio, che si potesse fare ovunque, come dipendente, che permettesse di muoversi.
La strada l'ho trovata con l'università. Scegliendo di cominciare come informatico.
In uno dei primi post di questo blog ho scritto che credo che esistano tre scelte che possono rendere felice una vita. La prima ve l'ho raccontata, e la terza è quella che caratterizza tutto questo blog. Vi sto parlando ora della seconda.
Mi sono immatricolato quando mia figlia aveva un mese (e sapete che ho appena finito gli esami) e ogni giorno continuo a dire "meno male che l'ho fatto!".
Un mese dopo la mia iscrizione all'università sono stato messo in cassa integrazione. Sono stato avvisato che questa era solo una misura per ritardare il licenziamento che sarebbe arrivato dopo.
Improvvisamente, con poco preavviso. Era il 2009 e la crisi era arrivata con tutte le sue stangate. Allora si credeva che sarebbe durata solo qualche mese, da allora continua a peggiorare.

Ho fatto una scelta rischiosa. Avevo la possibilità di stare un po' di mesi a casa, con una piccola entrata (il sussidio della cassa integrazione prima e della disoccupazione dopo). Mi sono dedicato allo studio senza cercare lavoro per un po' di mesi, e ho sostenuto tutti gli esami che potevo. Poi mi sono lanciato nella ricerca di un'occupazione nell'informatica. Mi è andata bene anche qui.

Da allora, da quel giorno in cui avevamo un solo euro in tasca, è cominciata la ripresa per noi. Perché
si deve cadere in basso, fino al punto più basso per cominciare a risalire, per rimbalzare. E quello per me è stato il punto più basso.

Oggi non ho paura. Ho imparato che la stabilità non si crea cercando un "posto fisso", ma qualificandosi e riqualificandosi continuamente, in modo da essere sempre appetibili, desiderati sul mercato. La ripresa non è finita. Sta continuando, sto cercando di ottenere di più.Ve lo sto raccontando, continua nelle prossime puntate.

2 commenti :

  1. Grazie ancora x i tuoi racconti.

    Correva l'anno 2009, e l'azienda del marito chiuse i battenti.... Ma a lui e a pochi altri venne offerto un posto a san Diego. Noi non ci pensavamo minimamente a venir quaggiù, ma dopo notti insonni si decise di cogliere l'occasione.
    Non so che fine abbiano fatto gli altri che scelsero di restare a cercare un lavoro in Italia.

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    1. Per voi deve essere stata una scelta molto difficile, soprattutto perché non avevate proprio idea di andare via. Gli USA, però, vi hanno ricompensato con quanto di più inatteso.
      Me lo chiedo anche io come sia andata a chi è rimasto (siete gli unici ad aver accettato?).
      Ognuno avrà avuto i suoi pro e contro da mettere sul piatto della bilancia, ma, dal punto di vista del lavoro è probabile che a voi sia andata meglio.

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