Qual è l'hobby più popolare al mondo? L'occupazione che dalla notte dei tempi vede impegnate persone di ogni età, sesso, ceto sociale e cultura?
Collezionare francobolli? Lavorare all'uncinetto? Scolpire il legno?
No, siamo fuori strada. Non c'è nulla di più diffuso e popolare del giudicare il prossimo. Non si salva nessuno, forse, e probabilmente nessun'altra occupazione dà tante soddisfazioni e gratificazioni, visto che c'è chi non si dedica ad altro.
Questo post prende in parte spunto da
un articolo di uno dei blog a cui sono molto affezionato.
Ci metto sempre molto a scrivere qualcosa, e mi dispiace, ma se non arriva il fine settimana, il tempo di dedicarmici mi manca davvero.
Mimma risponde a una delle tante persone che non hanno di meglio da fare che sparare giudizi ad capocchiam sugli altri.
Il succo del discorso sarebbe questo:
sono in molti gli italiani che si sono trasferiti all'estero, insieme alle loro famiglie, per tanti motivi, spesso per lavoro. Spesso solo il marito/padre lavora fuori casa, mentre la moglie/mamma no. Perché la famiglia si è regolata in questo modo, punto. Sono scelte che si fanno spesso in due, a volte obbligate.
Non manca mai, però, chi, con tanta invidia, classifica queste donne come "mantenute", nullafacenti, al seguito di mariti con contratti d'oro. Ho visto sui vari blog, in cui le mamme/mogli h 24 raccontano la loro esperienza, anche delle brutte offese.
Insomma, stiamo passando da una discriminazione all'altra riguardo alle mogli. All'epoca di Don Camillo la moglie che andava a lavorare era una poco di buono, la donna doveva essere tutta casa e chiesa. Oggi invece, se in una famiglia lavora, perdòn, guadagna solo lui, la donna è una mantenuta.
A me sono girate un po' le palle. Lo posso dire? Sì, su questo blog sono ammesse con moderazione un po' di parolacce.
Vivo in Italia, all'estero ci ho passato, per ora, solo un annetto, e quindi, in teoria, di cosa significa vivere fuori dai confini nazionali dovrei sapere ben poco.
Il termine expat, poi, dovrebbe essere, secondo qualcuno, riservato a una ristretta minoranza. Quindi, il fatto che, anche vivendo a poche centinaia di Km dal posto dove sono nato, non ci torno da tanti anni, che i parenti li sento solo per telefono, che non assaggio pane di Matera da prima che nascesse mia figlia, che non so nemmeno più come è diventata oggi la mia terra, non conta una cippa. Anche se con chi vive all'estero qualcosa in comune ce l'ho.
Quello che invece ho la pretesa di conoscere molto bene sono le difficoltà e i sacrifici di una moglie expat, anche se molto spesso una donna, quando c'è da stringere i denti e andare avanti, lo fa senza fiatare.
Mi viene da dire a chi giudica troppo facilmente:
mettiamo che, per 30 anni, hai vissuto nello stesso posto, nella stessa casa. Senza allontanarti mai dalla tua città per più di un paio di giorni.
Nella tua città lavori, fai la segretaria. E la segretaria, nel tuo paese di origine, dattilografa sulla macchina meccanica, stenografa, si occupa di documenti e burocrazia, che sono notoriamente diversi da paese a paese.
Poi, un giorno, arriva un rompicoglioni che ti stravolge la vita. E decidi di sposarlo. All'inizio è lui a venire a vivere dove sei tu, ma poi, a malincuore, diventa necessario spostarsi perché il lavoro e il contante scarseggiano. E si va nel suo paese.
Ma lì tu non potresti lavorare, almeno non ancora. Non hai il permesso per farlo. E la necessità c'è lo stesso. Una soluzione si trova. In nero, perché diversamente non si può fare. Restauro, che bello. Che interessante. Anche se la parte di lavoro che fai consiste nel pulire polvere di duecento anni e merda di topo.
Ma ti impegni, impari anche le parti migliori del lavoro e diventi brava. Finché dura.
Poi finisce anche quello. Bisogna inventarsi qualcos'altro. Ma cosa ti inventi in una piccola cittadina del Sud Italia?
Intanto arriva la cittadinanza. Ora potresti ufficialmente lavorare. Ma il lavoro di segretaria, anche a trovarlo, è completamente diverso, e il tuo titolo di studio forse non è nemmeno riconosciuto.
Non c'è molto da fare, si parte. Prima parte tuo marito, trova un lavoro dall'altra parte dell'Italia. E tu da sola resti a impacchettare la casa, almeno quel che riesci a portare in treno.
Si ricomincia da un'altra parte. Ma anche lì, cosa ti inventi?
All'ipermercato cercano personale. Ci provi. Mandi una richiesta. Nessuna risposta. Forse vorrebbero come requisiti minimi il diploma (italiano) la patente e una macchina a disposizione, perché è troppo fuori mano e non avere l'auto è come non avere le gambe. Purtroppo queste due cose non ci sono, e non è facile arrivarci ad averle tutte da un momento all'altro.
E poi un giorno: "ho trovato lavoro, vado a fare le pulizie in una casa". Mica schifata, lo dici con entusiasmo. Faticoso come sappiamo tutti, sempre in nero perché i contributi non te li pagano, ma va bene così. Ti viene offerto anche di coltivare un pezzetto di terra in cambio delle verdure dell'orto. Una bella occasione per imparare qualcosa di nuovo, oltre che per avere cibo di ottima qualità. Non ti tiri indietro.
E intanto decidi di metterti anche a studiare. E scopri che c'è un corso di italiano per stranieri. Ti fanno un piccolo test. L'italiano l'hai imparato abbastanza in tre anni, ti fanno una proposta migliore. Perché non ti iscrivi alla scuola media? Un corso serale, in un anno prendi la licenza media. Accetti. E studi.
E poi, a metà anno scolastico, la figlia tanto desiderata annuncia la sua presenza e il suo arrivo entro nove mesi.
La gravidanza della donna expat non è come quella della donna che vive nel suo paese. La solitudine pesa tanto. L'aiuto manca. Il marito, per tutto il giorno non c'è, arriva solo la sera, bisogna arrangiarsi da sole per tutto. E come sarebbe più facile tutto se ci fosse almeno una persona cara vicino ad aiutarti ogni tanto. Ma no, non c'è.
Un mese allucinante, passato a vomitare ogni giorno. Solo un mese, capita in ogni gravidanza, ci può stare, ma è tutto più difficile così. Il lavoro lo lasci, è troppo rischioso proseguire quel lavoro in gravidanza. E siccome era in nero non ti tocca un centesimo.
La scuola no, appena stai meglio decidi di continuare. Arrivi agli esami con un pancione di sette mesi. E prendi pure un bel voto.
La casa è piccola per accogliere anche la nuova nata. Bisogna traslocare. Per fortuna sullo stesso piano, senza andare lontano. Ancora tanto lavoro faticoso, con la pancia che cresce.
Nella nuova casa si riesce anche a mettere quel che mancava da portare da Matera. Così il marito parte e fa questo lavoretto, lasciandoti ancora sola, all'ultimo mese.
Ormai la figlia potrebbe nascere da un momento all'altro e sei sola. Se succede qualcosa non hai nessuno a cui chiedere aiuto. Ti accarezzi la pancia e le chiedi di aspettare. "Aspetta, ora arriva papà e ci porta in ospedale". E la figlia aspetta.
Il marito si imbarca in un'impresa un po' folle. Comincia l'università. E' una scelta condivisa. E' una scelta giusta, che porterà alla salvezza economica della famiglia, perché poco dopo si perderà anche il lavoro precedente.
Ma avere un marito che lavora e studia significa non avere mai una mano in casa. Doversela cavare da sola con la figlia che cresce quando lui va a cercare un nuovo lavoro. E resta lontano tutta la settimana. Magari il merito se lo prende tutto lui, ma se non fosse per te che ti occupi della bambina, col cazzo che lui potrebbe andarsene via per giorni per poter dare gli esami, studiare ogni sera, ecc.
Altri traslochi. Pacchi, scatoloni, fatica. Con la figlia che intanto cresce e richiede sempre più attenzioni.
Anche quando si conquista un po' di stabilità, la figlia comincia ad andare all'asilo e si respira un po', fare la mamma a tempo pieno non è mai facile. In Italia non avere la patente (e quindi la macchina) è come non avere le gambe. E' faticoso da morire dover andare ovunque a piedi. Decidi di provarci a prendere la patente e ce la farai di sicuro.
Cercare lavoro è sempre un'impresa, non solo perché non si trova, ma perché un aiuto con la figlia non c'è mai. Non ci sono nonni, zii, altre persone che ti possano dare una mano.
Vacanze, malattie, scioperi, la scuola non può garantire una copertura sufficiente a permettere a una mamma di trovare lavoro. E una baby sitter costerebbe più di quanto si può guadagnare, non ne vale decisamente la pena.
La lontananza dalla famiglia ha il suo peso. Otto anni ormai, senza tornare da tua madre. I costi sono diventati proibitivi, il Messico un posto sempre meno sicuro, le ferie non sono mai sufficienti a coprire un periodo abbastanza lungo da permettere questo viaggio.
Non so, forse non ho detto nulla di particolare, o forse sì. Forse saranno in tante le donne che di sacrifici come questi ne hanno fatti.
E' che quando qualcuno si mette a giudicare e classifica le mogli altrui come mantenute mi girano le palle.